“Che fine ha fatto il futuro?” di Marc Augé

Mai come in questo periodo storico, in tutto il mondo occidentale, il concetto di futuro e, soprattutto, la sua percezione, sono mutati a tal punto, da stravolgerne ogni parametro. 

Marc Augé, antropologo francese, africanista di formazione, è stato precursore e, in un certo senso, quasi premonitore di questa rivoluzione che sembra andare oltre il tempo e lo spazio, in particolare col suo testo “Che fine ha fatto il futuro?”, uscito in Italia dieci anni fa per la Casa Editrice Eléuthera.

Le riflessioni che ci ha suggerito questo testo, a tratti cinico, a tratti lirico, a tratti estremamente tecnico, pur nel suo stile scorrevole, ma anche complesso, visti i tanti riferimenti storici, artistici e filosofici, non riguardano solo il concetto di futuro, ma anche quelli di progresso e di economia che, come i due carabinieri che tengono stretto il Pinocchio di Collodi, hanno catturato, in un certo senso, le nostre naturali speranze verso il futuro stesso. Ben prima che iniziasse questa crisi economica che ancora ci attanaglia tutti e ci ha portato alla recessione, Augé ha fatto riflessioni profonde sulla globalizzazione e sugli stravolgimenti economici, soprattutto nel mercato del lavoro e nella sua percezione da parte dei cittadini, da un lato sempre più proiettati verso l’aspirazione ad una ‘cittadinanza mondiale’, dall’altro, forse, incapaci di sostenerne le molteplici difficoltà e la necessaria tolleranza. Per quanto riguarda il concetto di progresso, soprattutto da trenta o quaranta anni a questa parte, l’ingresso a gamba testa di tecnologie sempre più avanzate, sia nella nostra vita quotidiana, sia nei nostri luoghi di lavoro, ha causato un terremoto nella nostra percezione emotiva dell’esistenza, imprigionandoci in un immobile presente per cui è difficile, da un lato ricordare il passato (anche quello più recente) imparando da esso, dall’altro avere fiducia in un futuro migliore, avendo speranza, ma anche volontà di costruirlo adeguatamente.

Come mai questo oggi smemorato e cinico ci possiede a tal punto, si domanda Augé? Viaggiando attraverso il tempo e lo spazio, ma anche attraverso culture e popoli, luoghi e nonluoghi, come li definisce l’autore stesso, egli traccia possibili “cure” a questa “malattia” del nontempo che, come nell’effetto domino, potrebbero trovare efficacia in ogni aspetto della nostra vita, dalle relazioni, ai posti di lavoro, passando per la razionale capacità di affrancarci con spirito critico dai nostri modelli di riferimento creandone di nuovi per le future generazioni. Modelli che abbiano forti radici nel passato e rami rigogliosi, proiettati verso l’orizzonte futuro.

Una delle speranze che suggerisce Augé sta nell’educazione e nella scuola, il più possibile democratica e accessibile a tutti, in grado di formare adulti, ma anche professionisti ed esperti capaci di far comprendere a tutti l’importanza dell’eguaglianza, soprattutto nella comunicazione, anche politica.

“La vera democrazia passa per una chiara definizione delle relazioni egualitarie tra tutti gli individui, tra tutti gli uni, chiunque siano, e tutti gli altri, chiunque siano. Oggi ne siamo ancora bel lontani. Ed è questa la ragione per la quale gli appelli alla violenza, quale che sia l’ideologia che li ispira, avranno sempre un’eco tra i più sprovveduti. Così non è vietato all’antropologo, che cerca di osservare ciò che è, suggerire ciò che potrebbe essere se fosse restituita una finalità al linguaggio politico e se si prendesse finalmente alla lettera l’ideale spesso proclamato dall’istruzione e dalla scienza per tutti. Bisogna pensare al plurale, certo senza dimenticare che non è l’individuo che è al servizio della cultura, ma sono le culture che stanno al servizio dell’individuo”.     

Alessandra Rinaldi

Sistema Scuola: Alternanza scuola – lavoro, cos’è e come funziona

All’alba di un nuovo anno scolastico, parliamo dell’Alternanza scuola – lavoro in considerazione del fatto che migliaia di studenti si troveranno a viverla durante i prossimi mesi e con loro, i genitori.

Cos’è?

Parliamo di una attività didattica obbligatoria innovativa ed esperienziale dedicata agli studenti iscritti alla terza, quarta e quinta classe delle scuole superiori.

Regolata dalla legge n. 107/2015, meglio conosciuta come la Buona Scuola, ha l’intento di abbattere la distanza tra le scuole superiori e il mondo di lavoro, con lo scopo principale di “far provare” agli studenti il mondo del lavoro al quale si affacceranno dopo il liceo, qualsiasi esso sia. 

Infatti, per far orientare gli studenti rispetto gli ambiti lavorativi di competenza, i vari percorsi, seppur differenziati in base all’indirizzo dell’istituto, sono stati previsti sia per i licei convenzionali che per gli istituti tecnici e professionali.

Inizialmente dedicata agli studenti frequentanti il terzo anno nell’anno scolastico 2015/16, è stata estesa l’anno successivo agli studenti del quarto anno, per riguardare infine tutti quelli iscritti al triennio delle superiori a partire dall’anno 2017/18.

Ciò che differenzia maggiormente la tipologia dell’alternanza scuola-lavoro è la totalità di ore da svolgere durante il triennio: duecento ore per i primi, almeno quattrocento per i secondi.

Ciò che li accomuna sono i periodi in cui può essere svolta e il dove, oltre il fatto che, in modo assolutamente categorico, non determina il sorgere di un rapporto di lavoro tra studente ospitato e partner ospitante.

Che sia durante l’anno, nel periodo generalmente di vacanza o in quelli della normale sospensione didattica, in Italia o all’estero, l’alternanza scuola lavoro può essere svolta con le aziende del terzo settore o con gli ordini professionali,  con  gli istituti pubblici e privati operanti nei settori del patrimonio e delle attività culturali, ambientali artistiche e musicali, nonché con enti di volontariato o di promozione sportiva no profit. 

A decorrere dall’anno scolastico 2015/2016 é istituito presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura un Registro nazionale delle imprese scuola lavoro  per cercare i soggetti che offrono  percorsi di alternanza scuola-lavoro ed apprendistato.

Perchè il sistema fosse completo e totalmente regolamentato, nel dicembre 2017 è stato emanato il Regolamento che definisce la Carta dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza scuola-lavoro con lo scopo principale di informare correttamente studenti e genitori, nel rispetto del dialogo costruttivo e di condivisione che deve essere alla base del rapporto scuola-famiglia.

Questa carta dei diritti e dei doveri prevede che ai ragazzi venga destinato un ambiente di formazione adeguato e sicuro, che miri alla crescita del singolo in modo coerente con il percorso scolastico intrapreso, affiancati da tutor destinati a seguirli durante tutto il periodo e sotto la vigilanza delle commissioni istituite presso ogni ufficio scolastico.

Infine è stato predisposto e previsto tutto l’ambito delle valutazioni di efficacia dell’intero percorso di alternanza scuola lavoro, svolto dallo studente interessato, dal dirigente scolastico che avalla il progetto, dalla commissione scolastica che garantisce e segue il percorso.

Come funziona?

L’alternanza scuola lavoro è un percorso fatto di tappe che lo studente affronta come singolo oppure come gruppo classe. 

Entrambe le tipologie hanno lo scopo di simulare la situazione lavorativa nel suo contesto originario ma, mentre nel primo sarà il singolo a vivere l’esperienza in tutte le sue sfaccettature, nei progetti destinati al gruppo classe ognuno può vivere una esperienza differente contribuendo al raggiungimento di un obiettivo finale comune legato al territorio.

Prima di tutto bisogna scegliere un percorso personalizzato che introdurrà i soggetti in una azienda o in un ente con l’ausilio di un tutor scolastico, il quale seguirà le successive fasi dell’esperienza. 

Scelto il percorso avviene l’incontro  materiale con l’azienda o con l’ente, affinchè lo studente prenda consapevolezza della scelta e sia pronto ad iniziare il percorso, anche e soprattutto dopo aver conosciuto il tutor aziendale o dell’ente. 

La terza fase riguarda invece il così detto piano formativo attraverso cui i vari soggetti coinvolti  stipulano e firmano il progetto dell’alternanza scuola lavoro per il suo svolgimento.

L’ultima fase, non meno importante, è quella della Valutazione finale sia per lo studente che per l’azienda. Il primo sarà valutato dalla scuola e dall’azienda che emetteranno un giudizio  sull’esperienza complessiva dello studente, rilasciando il Certificato delle competenze. La seconda, a sua volta, sarà valutata dalla scuola e dallo studente che dovrà certificare la reale formazione ricevuta.

I primi dati ufficiali

A maggio 2018 è stato rilasciato dal Miur il primo report ufficiale con la raccolta dei dati dell’alternanza scuola-lavoro per l’anno 2016/17 che ha toccato le scuole pubbliche e paritarie italiane, escludendo quelle della Valle d’Aosta e delle province autonome di Trento e Bolzano perchè non gestite dall’Anagrafe Nazionale degli Studenti. 

E dunque: 

nell’anno scolastico 2016/17 seimila scuole hanno svolto progetti di Alternanza scuola- lavoro;

più del 94% delle scuole statali in ogni regione ha attivato tali progetti;

76.246 progetti hanno coinvolto 937.976 studenti del triennio, nonostante  l’obbligatorietà non fosse entrata completamente a regime;

Lombardia, Piemonte e Lazio detengono il maggior numero di progetti di alternanza scuola lavoro attivati, mentre in  Molise e  in Umbria sono stati registrati i valori più bassi;

più dell’88% dei progetti hanno una durata annuale e i percorsi sono stati attivati per il 55% nei licei, per il 30% nei tecnici ed il restante 15% negli istituti professionali.

Insomma, un ottimo primo rapporto per questo progetto formativo di massa andato completamente a regime durante il passato anno scolastico, nonostante con l’avvento del nuovo governo si sia parlato di modifiche alla buona scuola.

Vedremo cosa cambierà e, nel frattempo, buon ritorno sui banchi a tutti gli studenti e ai professori, nuovi e vecchi.

Francesca Tesoro

“La maestra e la camorrista. Perché in Italia resti quello che nasci” di Federico Fubini

fubiniDove andreste, se aveste una macchina del tempo? Se la vostra risposta è nell’Italia rinascimentale delle grandi famiglie di signori e mecenati, potete essere soddisfatti (o forse no), perché confrontando, ad esempio, la Firenze attuale con quella del Quattrocento, i nomi delle famiglie più ricche e illustri e di quelle più povere e umili sono rimasti gli stessi, quasi come se così tanti secoli non fossero passati affatto. Se ne sono accorti alcuni ricercatori della Banca d’Italia e, a partire dall’analisi sul campo di questo studio dai risultati desolanti, il giornalista Federico Fubini ha posto le basi per il suo nuovo libro, “La maestra e la camorrista. Perché in Italia resti quello che nasci”, una magistrale inchiesta sulla scarsissima mobilità sociale del nostro Paese, edita da Mondadori.

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Dalle strade di Firenze, dove tutto sembra immutato rispetto ai tempi de’ il Magnifico, se si esclude la possibilità di imbattersi in artisti come Brunelleschi e Donatello, alle scuole di Mondragone, uno dei comuni più difficili della provincia di Caserta, Federico Fubini analizza, con l’acume che lo contraddistingue, come la fiducia delle nuove generazioni verso un futuro più florido sia direttamente proporzionale alle condizioni economiche e culturali nelle quali i giovani crescono e si formano, fin dalla nascita. Partendo da questa considerazione, tuttavia, e in seguito a un interessante percorso coi ragazzi di un Istituto Professionale della cittadina, Fubini dimostra come la possibilità di dare inizio a un’inversione di tendenza verso un concetto di meritocrazia sostanziale stia proprio tra i banchi di scuola.

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In un Paese politicamente confuso, economicamente allo sbando e culturalmente povero, a dispetto dei tesori storici e artistici che possiede, l’immobilismo sociale, infatti, è un’aggravante che paralizza le nuove generazioni in classi sociali spesso più drammaticamente granitiche di quelle medievali: i ricchi sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri e quella piccola borghesia di risparmiatori nati dal boom economico che annaspa e vede i propri figli incapaci di raggiungere un benessere superiore o, peggio, fuggire all’estero in cerca di attenzione e gratificazione, ancor prima che di uno stipendio.

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Lucido, ma ottimista, Fubini mette a confronto alcune scuole lungo tutto lo stivale prima di dedicarsi ai ragazzi di Mondargone e si accorge sin da subito che la fiducia verso l’avvenire e verso il prossimo cambia drasticamente già a seconda del luogo di nascita, oltre che delle condizioni socio economiche e culturali. Rispetto a quelli di Milano o di Roma, un pericoloso miscuglio tra tristi realtà e drammatici luoghi comuni sull’impossibilità di realizzare i propri sogni, popola la mente dei disillusi teenager di Mondragone. Fubini lo capisce e decide di metterli e mettersi alla prova. In questa inchiesta che va ben oltre le statistiche, l’autore presenta a quegli studenti meno fortunati una serie di personaggi dalle vite sorprendenti, tutte accumunate da un successo tanto imprevedibile, quanto inaspettato, ma sempre meritato. Ognuna delle storie che Fubini fa raccontare ai ragazzi evidenzia come non conti il punto di partenza, neppure per quel che riguarda natali e conto in banca, bensì il punto di arrivo e il percorso, spesso perfino rocambolesco, che ha condotto ciascuno degli intervistati al proprio traguardo personale. Fubini dimostra così che il potere dell’esempio di chi ce l’ha fatta fa presa perfino su ragazzi che provengono e vivono quotidianamente situazioni difficili dalle quali sembra impossibile prendere le distanze, immaginando un futuro diverso.

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Fubini racconta anche di se stesso, cercando di spiegare, con un interessante excursus della recente Storia economica d’Italia, il perché di questo immobilismo sociale, nonostante il progresso e le potenzialità del nostro Paese, ma non è facile capire se le caratteristiche patrimoniali italiane così pietrificate siano una causa o una conseguenza della situazione attuale e forse non è neppure così importante. Per cambiare le cose, secondo l’autore, si possono mettere in atto soluzioni pratiche e concrete utili a prescindere dalla storia e, perfino, dalla geografia del nostro Paese. La protagonista di queste soluzioni può e deve essere innanzitutto la scuola che, col suo potere di allargare le menti anche di chi è stato meno fortunato degli altri, deve poter dare prospettive concrete e non solo titoli di studio. Da qui deriva la necessità di modernizzare il nostro sistema scolastico, dai programmi, agli insegnanti, guardando a molti esempi virtuosi in tutto il mondo che non sono impossibili da imitare, per quanto adattati alla nostra indole e cultura mediterranea. Solo cambiando il nostro modo di percepire passato, presente e futuro, si potrà garantire una base di partenza più simile possibile per tutti e quindi orizzonti sempre più lontani, fuori e dentro il cuore dei nostri ragazzi.

Alessandra Rinaldi

Sistema Scuola: Insegnanti e Territorio

territorio 1Continua la nostra indagine sul campo circa il mondo della scuola come sistema composto da tanti organi che formano un unico corpo che deve essere il più sano e forte possibile. Dopo aver affrontato i punti di vista di studenti, generazioni di insegnanti e personale non docente, torniamo ad ascoltare gli educatori per capire quanto la scuola di oggi, sempre più propensa verso tecnologia e progresso, sia effettivamente integrata e ancorata sul territorio su cui sorge e opera. Come ogni organismo vivente, infatti, non può prescindere dalle condizioni ambientali in cui nasce e proprio a queste deve adattarsi, se vuole vivere ed evolversi, altrettanto dovrebbero fare i singoli istituti scolastici. La conoscenza e la consapevolezza del background che li circonda è fondamentale affinché ogni sistema scuola funzioni e sappia ascoltare e valorizzare ogni suo prezioso componente.

I testimoni di oggi sono Ilaria e Laura, due insegnanti di ruolo di scuola dell’infanzia e primaria nel pieno della loro carriera lavorativa, che operano in due piccole realtà del centro Italia, tra il Lazio e la Toscana, non lontano dai rispettivi Capoluoghi di Regione. Anche questa volta, per garantire la loro riservatezza, le chiameremo con nomi di fantasia, senza specificare luoghi e istituti scolastici di provenienza, riportando, tuttavia, fedelmente, quanto raccontato dalle insegnanti nelle interviste che seguono.

Dalle risposte che Ilaria e Laura hanno dato alle nostre domande si deduce che l’analisi dell’attaccamento effettivo al territorio da parte degli istituti scolastici può essere fatta da due punti di vista: esaminando il fattore ambientale naturale, da una parte, e quello antropico e culturale, dall’altra. I bambini e i ragazzi di oggi, infatti, vengono sensibilizzati dalla scuola, non senza impegno e fatica, a prestare maggiore attenzione e rispetto, sia verso l’ambiente naturale che li circonda e nel quale la loro scuola sorge fisicamente, sia verso il contesto umano che caratterizza le loro origini come cittadini, e quindi studenti, su un determinato territorio. Le principali difficoltà di integrazione verso questi obiettivi, oltre alla solita ingombrante burocrazia, sono non solo le situazioni familiari complicate di molti ragazzi difficili da coinvolgere nelle varie attività, ma anche l’alto numero di studenti provenienti da altri Paesi e quindi portatori di altre culture e tradizioni, presenti in un numero sempre maggiore e che, quindi, non è possibile ignorare. Al di là degli aspetti politici, la vera sfida della scuola del futuro, dunque, in ogni luogo e grado, è proprio far sentire tutti studenti e cittadini allo stesso livello e sullo stesso piano ragazzi che provengono da situazioni molto diverse tra loro e che hanno bisogno, assieme ai loro stessi insegnanti, di percepire la scuola come un faro in mezzo alla nebbia dei nostri tempi difficili.

 

Cosa rappresenta oggi per te la scuola? Come mai hai intrapreso questo mestiere e quali soddisfazioni ti sta dando? Quali speranze, invece, sono state disattese?

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Ilaria: La scuola è un luogo salubre e sereno in cui i bambini si aprono a nuove esperienze, lontano dai genitori. Imparano a vivere in una nuova “Società”, diversa dalla famiglia. Mi è sempre piaciuto insegnare. Fin da ragazzina aiutavo i miei compagni di scuola a fare i compiti, poi, crescendo, affiancavo i ragazzi nello studio e nella preparazione di interrogazioni ed esami. Lavorare nella fascia d’età 3-6 anni è molto gratificante. Diventi una figura fondamentale per i bambini, quasi una seconda mamma e per me che non sono mai diventata madre… beh, mi riempie il cuore di gioia! Mi sento utile e gratificata; vedo i loro progressi di giorno in giorno, crescono imparando i sani principi che spero li accompagnino per tutta la vita. Spesso però, purtroppo, i bambini, diventando adulti ed entrando in contatto con insegnamenti sbagliati, prendono strade non sempre “raccomandabili”, ma io credo ancora e molto nel mio lavoro e non mollo. Lotterò sempre per insegnare solo “cose giuste e belle”, come dico ai miei bambini, affinché diventino degli adulti sereni ed equilibrati.

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Laura: Oggi la scuola è un grande punto di riferimento per i ragazzi, soprattutto la scuola primaria dove si apprendono le basi. Tutto sembra dissolversi con troppa facilità oggigiorno: gli affetti, le famiglie, tuttavia la scuola resta ancora una struttura presente, per quanto sgangherata. La cittadina in cui lavoro io potrebbe essere vista come una “zona di confine”. L’istituto in cui opero è tra i primi in Italia per numero di stranieri, oltre che di alunni BES (Bisogni Educativi Speciali) e DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) e quindi l’integrazione è per noi una sfida quotidiana e va oltre la didattica. Molti dei nostri bambini trovano stabilità e serenità solo all’interno delle aule, perché fuori le situazioni di vita sono difficili persino per gli adulti che si trovano ad affrontarle. Ho intrapreso questa carriera perché ci ho sempre creduto, anche se inizialmente non ho fatto studi di indirizzo. Quello coi bambini è uno scambio continuo. Noi docenti insegniamo la didattica, ma dai ragazzi impariamo qualcosa di più profondo sulla nostra natura umana, sia nelle classi, sia nei singoli rapporti che si instaurano. È stato proprio questo a spingermi a fare di questa passione una professione, acquisendo tutti i titoli e le competenze che mi avrebbero permesso di sviluppare la mia professionalità. Sono stata precaria per moltissimi anni in scuole private e, oggi che sono docente di ruolo in un istituto statale, ho raggiunto maggiore equilibrio, ma di sicuro ogni giorno a scuola è diverso dall’altro. Quando entri in aula ci sono tante difficoltà da affrontare, è stancante e le delusioni sono quotidiane, ma quel che resta dentro è sempre il riscontro che si ha dai ragazzi, dalle esperienze che si fanno insieme e che si condividono. La delusione più grande però, soprattutto rispetto al “mondo esterno”, è il mancato riconoscimento della nostra figura di insegnanti. In troppi criticano il nostro operato, senza sapere cosa significhi fare il docente. Non ci si improvvisa insegnanti, si studia e ci si tiene continuamente aggiornati, andando anche oltre le nozioni che si passano ai ragazzi. Ma, nonostante ciò, spesso subiamo giudizi ingiusti e ingiustificati che non fanno bene agli studenti e all’intero sistema.

 

Quali difficoltà e criticità pratiche incontri quotidianamente nel tuo percorso?

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Ilaria: Abbiamo a che fare quotidianamente con tanta burocrazia. Deleghe dei genitori, verbali per i collegi, programmazioni, infortuni, autorizzazioni alle gite, privacy, piano sicurezza, aggiornamento delle graduatorie, ricostruzione della carriera, domande di trasferimento… A volte non mi sembra di fare l’insegnante, ma di lavorare in un ufficio pubblico tra le scartoffie. Un’altra piaga è la continua mancanza di fondi anche per i beni di uso quotidiano (come carta igienica, sapone per le mani, carta assorbente), figuriamoci, poi, per corsi di aggiornamento o materiali di largo consumo quali colori, fogli di carta, materiale didattico in generale, fotocopiatrice, e così via. A tutto ciò si aggiunge una diffusa mancanza di rispetto per il nostro lavoro. Troppo spesso il nostro ruolo è sottovalutato. Chi non fa questo mestiere pensa che noi lavoriamo solo cinque ore al giorno, che abbiamo tanti giorni di ferie, che cantiamo e giochiamo tutta la giornata, insomma che sia una passeggiata. È vero che all’interno del plesso scolastico io sto per cinque ore al giorno, ma a casa lavoro ancora per cercare informazioni e materiali e strutturare le lezioni che affronterò poi in classe. Per quanto riguarda le ferie non possiamo scegliere il periodo per usufruirne e, qualora riuscissimo a prenderle durante l’anno scolastico, (per un massimo di sei giorni), dobbiamo supplicare il Dirigente che ce le accordi e trovare noi stesse una sostituta, perché non devono esserci carichi economici per la scuola.

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Laura: A livello strutturale gli edifici scolastici della nostra zona e dell’Italia intera sono in situazioni disastrose e spesso pericolose. Abbiamo solai che ci crollano in testa, fognature allo stremo e aule senza neppure il necessario. Ma anche tutto ciò che riguarda la didattica e la programmazione non tiene conto realmente delle difficoltà che gli insegnanti hanno in cattedra, ogni giorno. Spesso le problematiche esterne che hanno i ragazzi e le loro famiglie non ti permettono di seguire alla lettera i programmi del Ministero, perché la scuola è vita e deve trasmettere anche i mezzi per affrontare le difficoltà o oltre alle materie di studio. Forse è proprio questo scollamento la maggior criticità dei nostri tempi.

 

Quali sono, invece, i passi in avanti fatti, secondo la tua esperienza, e quali le aspettative future?

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Ilaria: Noto che faticosamente la scuola cerca di stare al passo con i tempi, soprattutto nell’aggiornamento degli insegnanti per l’utilizzo delle nuove tecnologie. Ora che mi trovo a lavorare lontano dalla mia città d’origine sto frequentando diversi corsi per la scuola digitale, ma negli anni passati, quando ha lavorato vicino casa, questo non è mai avvenuto. Forse perché dove mi trovo ora si è capito quale sarà il futuro della scuola e si è riusciti a guardare oltre e ad essere più lungimiranti. Ormai i bambini nascono con una mentalità volta all’informatica e al digitale e la scuola dovrebbe utilizzare questo canale informativo per insegnare ai propri alunni.

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Laura: Devo essere sincera: nella mia carriera di insegnante ho visto più passi indietro, che in avanti. Si prova a fare tanto, un po’ di tutto per l’esattezza, ma l’“essenziale” manca sempre e, alla fine, anche quel poco che si è fatto, si dimentica. Un tempo i programmi erano meno corposi, ma si andava di più al cuore dei concetti, senza contare che, i ragazzi di oggi hanno una soglia di attenzione molto più bassa ed è difficile coinvolgerli organizzando in modo sistematico il lavoro con tanti alunni, ognuno con la propria particolarità. Forse sarebbe meglio sfrondare i programmi, lasciando le basi e una più ampia libertà ai docenti di organizzarsi anche in base alle esigenze delle singole classi per non lasciare indietro nessuno. L’informatizzazione c’è, ma non è la LIM, ad esempio, che fa la differenza all’interno delle classi. Ormai tutti i ragazzi hanno uno smartphone a disposizione e spesso sono loro a insegnare qualcosa a noi in questo senso.

 

Raccontaci un aneddoto che è rimasto particolarmente impresso nel tuo cuore di donna e insegnante e perché.

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Ilaria: Ci sono così tanti episodi che mi sono rimasi nel cuore, che sarebbe difficile sceglierne solo uno. Sarebbe un torto a tutti quei bambini che, ognuno a loro modo, hanno contribuito alla mia crescita come insegnante ed educatrice. Naturalmente ci sono anche ricordi spiacevoli, momenti di difficoltà, spesso legati alla precarietà di questo mestiere, ma a restare maggiormente impressi sono sempre i sorrisi dei bambini.

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Laura: C’è un episodio che mi è rimasto particolarmente impresso e che ancora porto nel cuore. Il primo anno, nell’istituto in cui mi trovo adesso, ho avuto una quinta classe molto problematica. C’era una bambina, Anna, che piangeva tutti i giorni in classe e non c’era verso di capirne il motivo. Verso la fine del primo quadrimestre abbiamo capito che la mamma stava male e il papà non riusciva a prendersi giorni di ferie per accudirla, così lei rimaneva spesso sola con questa mamma allettata e sotto farmaci. Verso la fine dell’anno l’intera famiglia ha deciso di trasferirsi per cercare l’aiuto dei parenti lontani. Il giorno dopo che Anna è partita ho trovato nel mio registro un bigliettino a forma di cuore con scritto: “Grazie di avermi ascoltata” e mi sono commossa. Mi era sembrato di non essere riuscita a fare molto per lei, ma anche quel poco evidentemente era stato importante.

 

La scuola in cui operi è ben inserita nel contesto territoriale in cui si trova? Secondo te riesce a rispondere alle esigenze dei ragazzi e dei colleghi insegnanti legate al territorio di appartenenza? Quali sono le iniziative che agevolano l’interazione tra scuola e territorio nella vostra regione?

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Ilaria: La scuola in cui opero è ben inserita nel territorio in cui si trova. Frequentemente il Comune organizza eventi e attività che coinvolgono scuole e famiglie. Tutti i mesi, ad esempio, la biblioteca comunale presenta iniziative davvero molto interessanti per fasce d’età e gratuite o con una piccola offerta e sappiamo quanto sia importante avvicinare i ragazzi alla lettura. Si tratta sempre di eventi cittadini legati alla stagionalità, presentazioni di libri, organizzazioni di convegni, tavole rotonde e così via. Il tutto per sensibilizzare i ragazzi al rispetto del territorio da tutti i punti di vista e alla conoscenza della loro cultura e tradizione.

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Laura: Nel nostro istituto ciò che fa veramente la differenza nell’integrazione territoriale è il lavoro “sul campo” dei docenti. Abbiamo dedicato ore e ore a parlare coi bambini, spiegando loro che tutti hanno gli stessi diritti, anche se hanno una religione o tradizioni diverse e questo significa educare alla convivenza civile e vivere a pieno il proprio territorio, rispettandolo e valorizzandolo. Se facciamo dieci moltiplicazioni in meno chissenefrega! Tutti lavoriamo per l’inserimento sociale dei ragazzi e siamo uniti in questo. Arrivano anche alcune iniziative dal Ministero che potrebbero agevolare questi processi, ma non sono sempre di grande valore e questo è un gran peccato. Molto è lasciato alla nostra iniziativa e alla nostra sensibilità di insegnanti e ci sentiamo poco supportati in questo.

Alessandra Rinaldi

 

Sistema Scuola: anche il personale non docente è fondamentale

Dopo aver affrontato il punto di vista degli studenti e quello degli insegnanti nei precedenti articoli, paragonandoli alle due metà di un cuore, oggi vi mostreremo l’intero corpo della scuola.

Per dare vita a questo articolo, sono personalmente riuscita ad entrare in diverse scuole della mia città, parlato con i diretti interessati e alla fine ne ho scelta una, di cui ovviamente non vi dirò il nome, ma che diventerà lo scenario di questo nostro viaggio virtuale.

La cosa che più mi ha sorpreso parlando con le persone che ho incontrato è che tutti avevano l’idea della scuola come una piramide che contenesse più o meno tutti i settori, ognuno dei quali preordinato o sottoposto ad un altro. In realtà, parlando loro ho esplicitato una visione di scuola differente, più simile ad un puzzle e vi spiego anche perché.

Per quanto possa essere giusta l’idea gerarchica insita in una istituzione scolastica, credo più nella parità di ogni singolo “pezzo” che combinato con gli altri, crei un unico disegno. Ovviamente tutti noi abbiamo familiarità con i puzzle e siamo consapevoli che se mancasse anche un solo pezzettino, per quanto la mente umana sia perfetta e riesca a soccombere a quella mancanza visuale, resterebbe un vuoto.

Partiamo dal presupposto che se dicessi scuola, chi legge penserebbe immediatamente all’edificio scolastico e poi ai corridoi, agli odori, al brusio o agli schiamazzi, alle persone che ha incontrato almeno una volta nella propria vita solcando l’ingresso.

Ma la scuola, non è solo l’edificio nel quale abbiamo vissuto diversi anni, non è fatto solo di studenti o di professori. È composto da tutta una serie di altre persone ed “aree” che sono necessarie al buon funzionamento di tutto il sistema e senza ogni singolo ricompreso in queste aree, le cose non funzionerebbero davvero.

Abbiamo parlato di aree, ma quali sono?

Il sistema scuola di ogni singolo istituto funziona perché c’è una combine tra l’area amministrativa, l’area organizzativa, l’area didattica e il Dirigente Scolastico.

II Dirigente Scolastico è una figura scolastica di spicco. È colui che gestisce in maniera unitaria l’istituzione scolastica, ha il compito di promuovere e sviluppare l’autonomia gestionale e didattica, è garante del diritto all’apprendimento degli alunni, della libertà di insegnamento dei docenti ed anche della libertà di scelta educativa delle famiglie. Essendo il  legale rappresentante dell’istituzione scolastica, è responsabile della sua gestione, delle sue risorse finanziarie e di quelle strumentali, nonchè dei risultati del servizio ed è titolare delle relazioni sindacali. Dirige, coordina e valorizza le risorse umane, organizza l’attività scolastica secondo i criteri di efficienza e di efficacia formative.

L’area amministrativa è composta da:

  • il Direttore dei Servizi Generali Amministrativi il quale svolge e sovraintende i servizi generali amministrativo-contabili, curandone l’organizzazione, ricoprendo funzioni di coordinamento, promozione delle attività e verifica dei risultati da raggiungere;
  • l’Assistente Tecnico, figura di supporto trasversale e  necessaria ai docenti e agli studenti;
  • l’Assistente Amministrativo, che con la propria professionalità collabora nella conduzione della scuola, svolgendo tutto quanto ciò di amministrativo e contabile è previsto, sia dal punto di vista delle relazioni interne che esterne;
  • il Collaboratore Scolastico, con compiti di accoglienza e di sorveglianza nei confronti degli alunni, addetto ai servizi generali e alla gestione degli spazi scolastici, senza dimenticare la dimensione di collaborazione con i docenti.

L’area didattica è composta primariamente dallo staff del Dirigente Scolastico, che ha il compito di coadiuvarlo nella gestione e nella organizzazione del sistema scolastico interno. A questi si affiancano tutti i componenti del personale docente, suddivisi nei vari dipartimenti, alcuni con compiti di coordinamento degli stessi, comprendendo, laddove previsti, anche i referenti responsabili dei progetti legati alla alternanza scuola lavoro.

L’area organizzativa è invece composta da:

  • referenti per i progetti riguardanti gli studenti sia dal punto di vista esterno che interno, stabiliti di volta in volta nei progetti dell’offerta formativa;
  • referenti che si preoccupano di gestire l’orientamento degli studenti e delle famiglie tanto in entrata quanto in uscita;
  • referenti con il compito di organizzare e seguire il recupero e il potenziamento scolastico;
  • referenti del settore legato alla prevenzione e protezione di tutti i soggetti scolastici;
  • dal Consiglio di Istituto, organo collegiale obbligatorio che rappresenta tutte le componenti dell’Istituto e cioè docenti, studenti, genitori e personale non docente. Può essere parificato ad un vero e proprio consiglio di amministrazione che provvede a stabilire, deliberare ed adottare il programma annuale, i mezzi finanziari  per il funzionamento amministrativo e didattico, si preoccupa dell’adozione e delle modifiche del regolamento interno dell’istituto.

Insomma, credere che la scuola sia fatta solo di studenti e professori diventa davvero riduttivo.

La scuola è un microcosmo dove si vivono relazioni paritarie e non, dove i giovani studenti imparano ad essere uomini e donne scegliendo cosa fare del proprio futuro, è un luogo dove si incontrano tante figure professionali collaterali, ognuna delle quali fondamentale perché l’ingranaggio non si blocchi.

A questo ci avevate mai pensato?

Francesca Tesoro

Sistema Scuola: cosa ne pensano gli studenti


Con questo primo articolo inauguriamo il percorso legato al Sistema Scuola, un filone per fornire una nuova panoramica su un argomento che, generalmente, si dà per scontato.

Ognuno di noi ha dovuto frequentare almeno la scuola dell’obbligo e i più fortunati, ammettiamolo, hanno anche potuto proseguire gli studi nei livelli di istruzione superiori e universitari, riuscendo così a percorrere le strade che più gli si addicevano.

Il “Sistema Scuola” è fatto di tanti e diversi elementi, istituzionali e umani. A partire dagli allievi, fino ai livelli amministrativi, il nostro intento è quello di dare voce a ognuno di loro, creando un quadro che rappresenti tutti i pezzi di questo fantastico mosaico per dimostrare che, solo se tutte le tessere sono in armonia tra loro, la scuola potrà essere, oggi come in futuro, un vero e proprio sistema aperto alle contaminazioni e al cambiamento.

Cosa diamo per scontato?

Il termine scuola deriva dal latino schola che, a sua volta, deriva dal greco scholè. Questa parola identificava il tempo concesso allo studio, al ragionamento e agli insegnamenti che venivano impartiti nelle ore in cui era permesso riposare dalle quotidiane attività lavorative.

Con il passare del tempo, l’evoluzione della Storia ha permesso di identificare con i medesimi termini i luoghi fisici in cui i docenti e gli allievi si incontrano e dove gli uni insegnano agli altri quanto di conosciuto e ritenuto necessario in base ai diversi periodi storici.

L’accezione moderna di scuola è riconducibile all’opera di Carlo Magno il quale, con la Schola Palatina di Aquisgrana, delineò un primo nucleo di scuola pubblica, immaginando nell’educazione intellettuale, morale e religiosa dei popoli barbari che componevano il suo regno un elemento di unità.

A dirla tutta, però, nelle fonti storiche sono riportate esperienze scolastiche già dai tempi degli egizi e successivamente in tutte le società organizzate.

Ovviamente non bisogna pensare al “sistema scolastico” di allora e che ha attraversato la storia con la mente di oggi, come bisogna considerare che nei tempi passati gli “alunni” erano solo i destinati a posizioni amministrative o di governo.

Perciò, con l’evolversi del tempo e lo sviluppo delle varie civiltà che si sono susseguite nel tempo, è stata costruita l’idea di scuola che andava da sistemi di istruzione per le elité, molto basici e tecnici, alle organizzazioni articolate e organizzate dei giorni nostri, aperte a tutti.

Insomma, il sistema scuola è giustamente mutato nella storia e, ringraziando il caso o chi per esso, se siamo nati in questi due ultimi secoli e nella parte fortunata del mondo, abbiamo potuto studiare, migliorare noi stessi e diventare quel che siamo.

I giovani e la scuola di oggi 

Siamo nel 2017 e, nessuno lo può mettere in dubbio, oggi la scuola è cambiata.

Pubblica, paritaria o privata, ciò che conta è la possibilità che viene data ai nostri figli di frequentare ambienti fatti di professionisti in grado di insegnare loro quello che è successo nel tempo, le basi della nostra cultura moderna, fino ai calcoli matematici più impensabili. I veri protagonisti del mondo della scuola sono prima di tutto loro, i ragazzi che dai sei anni, mese in più mese in meno, entrano in questo mondo per vivere un periodo di crescita e sviluppo che li porta alla terza media e all’esame di maturità. I più volenterosi e fortunati, proseguono gli studi e frequentano con successo le università, riuscendo in molti casi ad eccellere anche nel futuro mondo professionale.

Ma i bambini e i ragazzi come vivono e come vedono la scuola?

Parafrasando la regola delle 5 W del giornalismo, abbiamo fatto una indagine molto semplice e intervistato cinque di loro per sapere cosa ne pensano.

I cinque intervistati, che rimarranno anonimi per ragioni di riservatezza, rappresentano uno spaccato equilibrato per quanto riguarda la provenienza, l’età e il sesso, iscritti regolarmente dalla scuola  elementare all’università.

Le domande sono state molto semplici e dirette:

1. Cosa significa per te la scuola?

2. Cosa cambieresti e perché?

3. Come vivi la scuola?

4. Cosa ti ha insegnato?

5. Cosa ti piace della scuola?

Le risposte sono riportate in base all’ordine scolastico ed è indicata genericamente la scuola frequentata e un nome di fantasia.

Adele frequenta la scuola elementare.

Crede che la scuola sia un luogo per in contrarsi e per imparare, anche se ha già capito che è proprio in quell’ambiente che si iniziano ad avere i primi scontri con la realtà. Le piace fare i compiti ma preferirebbe svolgerli a scuola il pomeriggio con i compagni e le insegnanti, piuttosto che a casa, dovendo rinunciare ad altre attività pomeridiane. Il suo ambiente scolastico è variegato e lo vive in serenità, riuscendo ad intrattenere rapporti ed amicizie praticamente con tutti. Proprio tra i banchi  di scuola ha imparato a gestire i rapporti con gli altri, oltre che ad apprendere ogni giorno molte delle cose che oggi sa di sapere, dall’educazione alle materie.

Bruno frequenta la scuola media.

Ritiene la scuola un luogo dove si va per imparare prima di tutto ma anche dove fare nuove amicizie e divertirsi con gli amici. Se potesse cambierebbe il rapporto tra gli insegnanti e gli alunni, credendo che la troppa formalità limiti la voglia di ascoltare. Vive la scuola in maniera seria, fa i compiti, segue le lezioni con interesse, ma come può preferisce decisamente interagire con gli altri compagni e divertirsi con gli amici ai quali è molto legato. Grazie alla scuola ha imparato a relazionarsi con gli altri e sono stati proprio gli altri a fargli tornare la voglia di andare a scuola quando qualcosa non andava.

Caterina frequenta il bienno della scuola superiore.

Per lei la scuola è una fonte di istruzione, un luogo dove si impara a studiare, si apprendono argomenti, ma soprattutto è un luogo dove ci si confronta con gli altri. È un posto che forma culturalmente e moralmente. Preferirebbe intensificare le attività pratiche, dato che rispetto ad altre scuole nel mondo siamo molto legati alla teoria più che alla pratica, vorrebbe fare più ore di laboratorio e dare più spazio alla storia dell’arte che ritiene importante per il nostro paese. Le farebbe piacere che la scuola valorizzasse maggiormente ciò che le sta attorno. I ragazzi dovrebbero essere maggiormente considerati dalle “autorità” come il dirigente scolastico e dagli insegnanti perchè le cose vadano meglio. Vive la scuola con impegno ed è costante nel rendimento scolastico, mantenendo uno spirito adatto per imparare e per convivere con il gruppo classe e con i professori. Ha imparato molte cose e molte altre ne imparerà, perchè la scuola fornisce degli insegnamenti legati alla cultura ma anche alla  morale. Della scuola le piace la pluralità di indirizzi di studio adatti a tutti, lasciando così la libertà di essere ciò che si vuole diventare.

Daniele frequenta il trienno della scuola superiore.

La scuola per lui significa Istruzione. Dopo la famiglia pensa sia l’istituzione che dovrebbe guidare i giovani nelle proprie scelte di vita e del futuro. Vede la scuola come un luogo per ritrovare i compagni e condividere con loro opinioni diverse. Cambierebbe il modo di fare le lezioni, vorrebbe un mondo scolastico pronto a coinvolgere i ragazzi e non renderli semplici auditori. Riferisce che l’alternanza scuola-lavoro non è più lo specchio di ciò che si studia nelle ore scolastiche, restando quasi dei binari paralleli. Vive la scuola molto serenamente, la percepisce come un ambiente piacevole anche e soprattutto perchè ha potuto scegliere in libertà un indirizzo scolastico molto vicino alle sue passioni, nonostante senta avvicinarsi l’ansia per gli esami di maturità. E’ consapevole che dalla scuola ha imparato principalmente che le proprie idee, giuste o sbagliate che siano, vanno condivise e discusse insieme, apprezzando il duro impegno che viene svolto dai professori per indirizzare i giovani verso le loro scelte.

Elena frequenta l’università.

Prima di tutto si ritiene una persona fortunata perchè non tutti hanno la sua stessa possibilità di frequentare l’università, vista come una grande opportunità di crescita e formazione personale. Soffre il fatto che i professori incontrati nel suo percorso universitario, in alcuni casi, non abbiano dato lo stesso peso agli insegnamenti stessi e alle prove in itinere che sono programmate. Riconosce nell’università un percorso di studio sicuramente difficile che crea in lei l’ansia di fronteggiare le varie prove, laddove alcuni docenti non considerano gli sforzi degli studenti. Sicuramente per lei l’università è un luogo dove nulla è dovuto ed è consapevole che per raggiungere tutti i traguardi del percorso bisogna impegnarsi. Apprezza l’ambiente studentesco e il dialogo aperto con i professori, quando questi sono disposti a concederlo, senza nascondersi dietro troppi formalismi.

Adele, Bruno, Caterina, Daniele ed Elena esistono realmente, come realmente vivono il mondo scolastico, unendolo con le proprie esperienze di vita, le città in cui abitano, le passioni che gli attraversano le vene.

Sono ragazzi che hanno ben chiaro cosa significa la scuola e il viverla in tutti i suoi aspetti.

Sono ragazzi fortunati, liberi di poter pensare, di poter svolgere i loro compiti, certi che un giorno metteranno a frutto quanto imparato, cosa questa non scontata.

Ringraziamo questi ragazzi e le famiglie per averci concesso il privilegio di chiacchierare con loro e di averci mostrato un volto nuovo del Sistema Scuola. Il volto del futuro.

Francesca Tesoro