Donatello Aspromonte: le Start-Up italiane e il ruolo del Mentor

Dopo aver analizzato con Roberto Saliola la crescita economica di Roma e del Lazio nel primo trimestre di quest’anno, allarghiamo i nostri orizzonti, occupandoci del variegato e vivace mondo delle Start-Up italiane e soffermandoci, in particolare, sui dati statistici relativi a questa prima parte del 2019 e sulle criticità di queste realtà.

A guidarci in questo interessante viaggio sarà Donatello Aspromonte, esperto di tematiche finanziarie, Mentor di Start-Up innovative e vicepresidente di Manageritalia Executive Professional, il quale ha risposto alle nostre domande sul ruolo del Mentor come figura istituzionale e di supporto ai giovani imprenditori, aiutandoci ad analizzare correttamente i dati che vedono questo settore in crescita, tenendo, però, conto dei fattori di reale innovatività dei progetti, con riferimento ai concetti di scalabilità e replicabilità di questi.

Non sempre, infatti, i numeri in crescita indicano la reale capacità del Paese di favorire la nascita di Start-Up innovative, ed è proprio qui che il supporto del Mentor svolge un ruolo fondamentale affinchè i tanti e validi progetti appena nati superino positivamente le fasi iniziali di ingresso nel mercato, concretizzando la creazione di prodotti e posti di lavoro.

Come si distingue, dunque, una realtà davvero “start-up friendly”, da una non ancora matura? E come ovviare a tutte le difficoltà, valorizzando i progetti originali e validi dei tanti giovani che si avviano verso questi percorsi? A questo e molti altri interrogativi ha risposto per noi Donatello Aspromonte, delineando linee guida utili a tutti gli addetti ai lavori e non, illustrandoci, tra l’altro, un interessante progetto realizzato da Manageritalia in concerto con le Università italiane, per far sì che, già negli anni della formazione, gli studenti, aspiranti startupper, siano informati e aggiornati in merito.

Qual è la situazione delle Start-Up a Roma e nel Lazio durante il primo trimestre 2019?

Se parliamo di dati statistici, la situazione è questa: le start-up innovative iscritte nel registro delle imprese 30 giugno 2019 sono 10.426, in aumento di 351 unità rispetto a fine marzo e di circa 500 unità rispetto al 2018. Circa il 25% del totale delle start up innovative è ubicato in Lombardia, mentre il Lazio si colloca in seconda posizione, con una percentuale dell’11%.

La situazione quindi è positiva?

Non proprio: ritengo che una lettura poco attenta dei dati statistici possa portare a conclusioni fuorvianti.

Cosa intende?

Intendo dire questo: nel contesto internazionale la definizione di start-up porta con sé due concetti fondamentali, ossia la scalabilità e la replicabilità. Una start-up, per definirsi tale deve avere un progetto di innovazione caratterizzato da una crescita potenzialmente rapida, innestato in un business model che sia facilmente scalabile e replicabile. Se manca uno di questi requisiti non c’è una start-up, ma semplicemente un nuovo progetto di impresa.

E in Italia?

In Italia, invece non è così: da un punto di vista normativo, per essere una start-up innovativa occorre rispettare una serie di requisiti formali, ad esempio quello di inserire nel proprio oggetto sociale le attività di sviluppo, produzione e commercializzazione di prodotti e servizi ad alto valore tecnologico o di assumere personale laureato o con dottorato di ricerca. Per cui esistono dei progetti di impresa che, pur non essendo né scalabili né replicabili, vengono considerati a tutti gli effetti delle start-up, semplicemente perché rispettano requisiti burocratici e normativi.

Quindi il fatto che il numero di start-up innovative cresca non è un indicatore valido della capacità del Paese di favorire la nascita di start-up innovative, giusto?

Esatto. Il fatto che il numero di start-up innovative – nell’accezione normativa italiana – cresca, non comporta necessariamente che l’Italia sia un Paese “start-up friendly” ossia un Paese che favorisca la nascita delle start-up; e difatti non lo è, anche analizzando le utile classifiche dei Paesi dove è più facile creare una start-up, che colloca l’Italia alla 27° posizione, in una classifica nella quale nei primi 10 posti troviamo i soliti noti (Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada Germania, Olanda). È un dato di fatto che molte start-up create da giovani italiani siano state costituite ad Amsterdam o a Londra. C’è poi anche un discorso legato alla dimensione economica ed organizzativa delle start-up italiane: su oltre 10.000 start-up innovative iscritte, meno della metà hanno dipendenti e il valore medio dei dipendenti non supera le 4 unità, mentre il valore della produzione medio è di circa 150.000 euro; bastano questi dati per fotografare la dimensione del fenomeno nel nostro Paese, molto lontano dai numeri delle start-up di altri Paesi.

Quali sono le altre problematiche che le start-up italiane incontrano?

Sono diversi, ma quelli secondo me più importanti sono due. Il primo problema è legato alla mancanza di competenze manageriali da parte degli startupper. Sempre più spesso, infatti, i giovani hanno idee veramente brillanti ma non hanno le esperienze necessarie per “metterle a terra”, per sviluppare percorsi progettuali di esplorazione delle potenzialità di mercato della propria idea ed è proprio la mancanza di un serio accompagnamento delle start-up nelle primissime fasi di vita a determinarne l’insuccesso. Purtroppo gli incubatori-acceleratori privati riescono a soddisfare poche richieste di assistenza e preferiscono puntare su start-up con una certa storicità, mentre quelli di derivazione pubblica – soprattutto a carattere regionale – a cui viene demandata la fase di pre-seed, mostrano i segni del tempo, intrappolati in procedure burocratiche e amministrative eccessive.

E il secondo problema?

Il secondo problema è legato alla difficoltà che le start-up riscontrano nel reperire equity, ossia capitale di rischio. Purtroppo il sistema del venture capital italiano non è ancora sviluppato; consideri che, in base ai dati del secondo trimestre 2019, la Gran Bretagna ha messo a segno investimenti di venture capital per 3,2 miliardi, con circa 234 round di finanziamento, mentre la Francia ha raccolto investimenti per 1,4 miliardi con 131 round, seguita dalla Germania (1,3 miliardi di investimenti e 119 round) e dalla Svezia (1,3 miliardi 3 e 58 round). L’Italia è dodicesima con investimenti pari a 100 milioni con 26 round piazzati. Il raffronto tra i diversi Paesi mostra l’arretratezza del nostro Paese su questi temi. A questo si aggiunge anche che le organizzazioni di business angeling ancora non raggiungono le dimensioni di quelle presenti in altri paesi europei. E questo penalizza gli startupper italiani, che si vedono costretti a spostarsi in altri paesi dove la raccolta dei capitali risulta essere alla portata.

E gli incentivi pubblici riescono a sortire qualche effetto?

Esistono diverse misure agevolative e strutture a supporto dell’innovazione: solo per citarne qualcuna, penso alla misura Smart&Start di Invitalia o all’operatività di Invitalia Ventures, alle agevolazioni fiscali per chi investe in start-up innovative o al fondo nazionale innovazione del MISE fino ai voucher per l’innovation manager. Tutte misure utili, ma il problema è un altro.

Quale?

Occorre una visione unica, un’unica cabina di regia, in grado di coordinare gli sforzi di tutti gli attori coinvolti, sia pubblici che privati. Occorre fare squadra, per creare il giusto ambiente in grado di favorire la nascita e la crescita di nuove imprese. Per questo ritengo che l’idea di costituire un Ministero dell’Innovazione, in grado di coordinare l’operato dei soggetti che operano con e per le start-up, possa essere utilissimo, a patto di non replicare i fallimentari tentativi del passato recente.

In un contesto come questo, qual è il ruolo del Mentor?

La presenza di un bravo mentor, soprattutto nelle fasi iniziali del percorso imprenditoriale è fondamentale. Talvolta il problema è che gli startupper sono troppo innamorati della loro idea iniziale, talmente presi che tendono a rigettare qualunque proposta di cambiamento. Avere una buona idea è sicuramente una pre-condizione fondamentale per creare una start-up di successo, ma potrebbe non bastare.

In cosa consiste il suo lavoro di mentorship?

È un percorso articolato, ma semplificabile nel modo seguente: guidare lo startupper a porsi le domande giuste, supportandolo nella definizione e nella validazione di un business model efficacie, oltre che nella definizione di un piano finanziario sostenibile e alla ricerca di fonti di finanziamento adeguate.

Parliamo del progetto che state lanciando nelle Università italiane.

Per scovare le innovazioni abbiamo deciso di andare lì dove è più probabile trovarle, ossia nelle università. Abbiamo creato un format progettuale – denominato Hackathon UniversItalia – che è un progetto in partnership tra ManagerItalia Lazio Abruzzo Molise Sardegna Umbria e le principali università italiane. A partire da Settembre 2019 e per tutto il 2020, in maniera itinerante, organizzeremo delle full-immersion di tre giorni, delle vere e proprie “maratone dell’innovazione”, con una partecipazione ampia e trasversale di studenti, makers, imprenditori, professionisti, docenti universitari, etc: una sorta di community locale per l’innovazione, composta da persone che si mettono in gioco per individuare soluzioni disruptive su tematiche ed ambiti specifici. Abbiamo iniziato il 16 Settembre con la presentazione del progetto presso l’Università di Perugia, per poi continuare nelle sedi delle altre Università partner sparse su tutto il territorio nazionale.

A cura di Maria Tringali

Manageritalia: analisi della situazione economica del Lazio

Da sempre Manageritalia compie periodicamente una profonda e dettagliata analisi del tessuto economico delle varie regioni d’Italia. In qualità di Presidente della zona del Lazio, e non solo, sono stato testimone e portavoce di questo lavoro che ritengo utile anche per comprendere meglio alcuni fenomeni sociali e, di conseguenza, politici.

manageritalia
Nei primi anni Duemila l’area di Roma e la sua provincia crescevano a ritmi superiori alla media nazionale dell’1% annuo circa. Gli anni della crisi economica, tuttavia, hanno modificato e, in un certo senso, stravolto questo trend, invertendone la tendenza in modo traumatico. La crisi ha cambiato il volto economico di Roma e della sua provincia, dando vita alle dinamiche estremamente complesse che tutti i cittadini vivono ormai da un decennio. Andando più nello specifico, infatti, in questi anni, si è assistito a un calo del valore aggiunto pro-capite in diminuzione di oltre il 10%. Per semplificare al massimo, il valore aggiunto pro-capite è dato dalla differenza tra il valore della produzione del periodo e i consumi di materie e servizi dello stesso periodo diviso il numero degli occupati, e, sempre sulla base dei dati Istat, dall’inizio della crisi la produttività del lavoro il Lazio ha mostrato una dinamica peggiore della media nazionale, perdendo nel periodo 2007-2016 circa 5 punti percentuali rispetto alla media italiana.
Al contempo, però, gli occupati tra 2007 e 2016 sono aumentati di 190.000 unità, pari al +11,8% e le imprese registrate sono aumentate di 65.177 unità, con un incremento percentuale del 15,5%. Più imprese, più lavoratori, ma meno ricchezza prodotta, una tendenza che dovrebbe far riflettere.


La sensazione è che il sistema economico di Roma e provincia abbia sperimentato una crescita del numero di lavoratori e del numero di imprese, senza tuttavia riuscire a innescare un percorso di vera rinascita economica, generando una crescita imprenditoriale e occupazionale a basso valore, con un impatto negativo sul versante della qualità del lavoro e della sua capacità di produrre reddito, contribuendo così, assieme a numerosi altri fattori, a un aumento della percezione della precarietà da parte dei cittadini.
Roma sembra diventare sempre più la città dei “lavoretti” e dell’impresa “per necessità”. Un sistema produttivo sempre più “polverizzato” dove la dimensione media delle imprese è sempre più piccola. Molte grandi aziende stanno riposizionando e modificando le loro strategie di investimento, penalizzando Roma che in questa fase non gode di una buona immagine come “città d’affari”. Ma, oltre all’impatto negativo delle grandi imprese che lasciano la città, il danno più rilevante deriva dalle nuove imprese che non riusciamo ad attrarre.
Il fenomeno della polverizzazione delle imprese, con dimensioni sempre più ridotte, potrebbe però trovare un punto di cambio di trend grazie alla diffusione delle imprese innovative nella nostra regione.


La dinamica della produttività di un Paese e di una regione è fortemente influenzata dalla capacità del suo tessuto produttivo di innovare. La capacità innovativa del Lazio è più elevata della media nazionale, grazie a una buona dotazione di capitale umano occupato e alla ricerca svolta dalle Istituzioni pubbliche.
Il miglior risultato del Lazio rispetto alle altre regioni italiane è riconducibile a una spesa pubblica in ricerca e sviluppo e qualità del capitale umano (istruzione universitaria, numero di addetti nei settori high-tech, pubblicazioni scientifiche internazionali) superiori alla media.
Nel Lazio, tra il 2012 e il 2016, la quota di occupati in possesso di una laurea si è attestata in media al 26,1%, un valore più contenuto della media UE-28 (33,0%), ma superiore a quello del Centro e alla media nazionale (23,0% e 20,2%, rispettivamente).
Nel 2012 è stato introdotto in Italia uno specifico regime giuridico e fiscale per agevolare la nascita e lo sviluppo delle imprese ad alta capacità innovativa, chiamate start-up innovative.
Alla fine del 2017 nel Lazio erano iscritte al Registro delle Imprese delle Camere di Commercio 805 start-up innovative (circa il 10% del totale nazionale); la regione era terza per numero di start-up dopo la Lombardia (1.909) e l’Emilia Romagna (862).


Nel Lazio l’incidenza delle start-up dei servizi è superiore alla media, riflesso del maggior peso del comparto sulla struttura economica regionale. In particolare il Lazio appare specializzato nelle start-up dei servizi di trasporto, sanitari, di quelli collegati al turismo, dell’informatica e delle telecomunicazioni.
In conclusione, abbiamo notato segnali contrastanti di sviluppo e ripresa a cui proviamo a dare giustificazione riferendoci all’ambiente particolare nel quale operano le imprese della nostra regione.
Invece, segnali di sviluppo consistenti e netti si registrano nel mondo delle start-up innovative e nell’economia della conoscenza, con un utilizzo di forza lavoro qualificata ben al di sopra della media nazionale.
Manageritalia ha già intercettato questi due temi e ha impostato parte della propria operatività su innovazione ed economia della conoscenza, ritenendo che il nostro ruolo di agenti del cambiamento e portatori di cultura manageriale, di innovazione e sviluppo sostenibile ci debba portare ad essere sempre più presenti e attivi su questi temi.

Roberto Saliola

Sostenibilità, etica e profitto: Roberto Saliola racconta i nuovi modelli d’Impresa secondo Manageritalia Roma

Non solo profitto, ma anche obiettivi che contemplano l’importanza del capitale umano, della sostenibilità dei progetti e, più in generale, di un’etica sempre nuova applicata all’economia attuale. Sono queste le tematiche di cui si sta occupando Roberto Saliola, Presidente di Manageritalia Roma, pensando a un futuro sempre più a portata di imprenditori che imparino dalle dinamiche che hanno caratterizzato il recente passato economico del nostro Paese e dell’Occidente in generale.

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“Era il 1970 quando il fondatore del pensiero monetarista, il premio Nobel per l’economia Milton Friedman, chiudeva la porta all’introduzione delle teorie economiche che volevano inserire nel bilancio delle imprese anche l’ambiente, la trasparenza della governance, il rispetto dei territori e delle comunità, dichiarando che ‘l’unica responsabilità sociale di un’azienda è fare profitti’” ha spiegato Roberto Saliola. “Quasi cinquant’anni dopo le cose sono molto cambiate. E la sostenibilità, a dispetto della schiera di critici, è diventata parte integrante del business per più della metà delle aziende del pianeta. Ma, nonostante tutto, l’economia di oggi sembra ancora vivere in una contraddizione fondamentale: da una parte la collettività richiede alle aziende maggiore responsabilità, dall’altra gli investitori e gli azionisti richiedono loro sempre maggiori profitti, nella logica dello sviluppo e del consumo. Le società tradizionali, e, nell’immaginario collettivo, i propri manager, sono tenute quindi a massimizzare il profitto come obiettivo primario e questo è il criterio dominante nei loro processi decisionali. Molti ora vedono questo come un ostacolo nella creazione di valore a lungo termine per tutti gli stakeholder, inclusi gli azionisti stessi. Questa forma di capitalismo ha però certamente alcuni punti di forza. Negli ultimi cinquant’anni circa, innegabilmente, il capitalismo ha avuto una responsabilità diretta nel far emergere quasi un miliardo di persone dalla povertà, nel rivoluzionare il sistema sanitario e le cure mediche e nella creazione di tecnologie digitali che hanno trasformato la vita delle persone di tutto il mondo. Ma il capitalismo moderno ha anche prodotto sperequazioni economiche, forti indebitamenti sia dei singoli, sia dei governi, la creazione di strumenti finanziari che non hanno alcun valore sociale e l’uso insostenibile di risorse fisiche e naturali destinate a esaurirsi. Eppure, tutte le alternative al capitalismo sperimentate finora si sono rivelate inadeguate”.

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Come tentare, dunque, di superare tutti questi ostacoli che generano diffidenza sia nelle aziende, sia nella comunità dei clienti e dei consumatori? La risposta è nella Storia, nelle teorie economiche di numerosi studiosi del passato e del presente, ma anche nel concreto spirito di iniziativa della classe imprenditoriale e di chi la compone, il cui contributo, accanto a quello della politica nazionale e internazionale, sarà fondamentale per restituire fiducia verso un sistema economico in lenta ripresa.

“È di Winston Churchill la celebre affermazione secondo cui “la democrazia è la forma di governo peggiore, escluse tutte le altre sperimentate finora”. Si potrebbe dire altrettanto del capitalismo, in particolare della forma di capitalismo attuata da vent’anni a questa parte. Questi anni di difficoltà e crisi hanno evidenziato che alla radice del problema c’era una perdita collettiva di una bussola morale. Troppe persone hanno anteposto l’interesse egoistico all’interesse generale. Tutto era volto ad “avere di più”, invece che a “vivere di più”, tutto era rivolto a concentrare anziché includere. E se troppe persone si sentono escluse dal sistema e non possono accedere ai vantaggi che questo offre, alla fine allora si ribelleranno, estraniandosi dal sistema stesso o facendo ricorso alla violenza. Il sistema capitalistico va corretto, non cancellato, e per correggere le lacune del capitalismo siamo chiamati, come categoria, a fare, a mio avviso, soprattutto due cose: la prima è adottare una prospettiva a lungo termine; la seconda è rivedere le priorità dell’imprenditoria. La visione a breve termine che caratterizza l’imprenditoria moderna è stata definita “capitalismo trimestrale” da Dominic Barton della McKinsey e “gestione orientata all’aspettativa” da Roger Martin nel suo libro “Fixing the Game”. E la visione a breve non prevede lo spazio necessario allo sviluppo di percorsi paralleli al core dell’impresa o a logiche di inclusione e sostenibilità”.

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Il nuovo modello di imprenditoria che, secondo Roberto Saliola, si preoccupa della sostenibilità, dell’inclusione e della cosiddetta etica del profitto è un sistema in grado di fare previsioni più a lungo termine possibile, che calino il complesso produttivo nella società e nelle sue esigenze, caratterizzate sia da una realtà economico sociale, sia dalla percezione che tutti gli operatori del mercato e i cittadini hanno della realtà stessa. In questo modello le aziende sono soggetti attivi che partecipano alla gestione corretta dell’ambiente, sia esso antropico o naturale, prestando attenzione alle risorse rinnovabili e alle loro potenzialità.

“Un nuovo modello di imprenditoria è un modello che si concentra sul lungo termine. Un modello che intende l’impresa come parte integrante della società, non come un’entità avulsa. Un modello in cui le aziende tentano di affrontare i grandi problemi sociali e ambientali che minacciano la stabilità sociale. Un modello in cui i bisogni dei cittadini e delle comunità pesano quanto le richieste degli azionisti. Ma anche la convinzione che a lungo termine, non c’è società e quindi nessun impatto, se non c’è profitto. Anche le priorità dell’imprenditoria vanno messe in discussione. Il valore delle quote azionarie non può essere il solo driver dell’impresa e massimizzare i profitti degli investitori non può più essere lo scopo principale dell’impresa. La grande sfida del XXI secolo sarà di garantire un buon tenore di vita a sette miliardi di persone senza depauperare le risorse della Terra o ricorrere a livelli incontenibili di indebitamento pubblico. Per raggiungere questo scopo, i governi così come le imprese dovranno trovare nuovi modelli di crescita che siano equilibrati, sia sul piano ambientale, sia sul piano economico. E per far questo serviranno anche nuovi livelli e nuovi modelli di leadership. L’imprenditoria e la classe manageriale devono decidere quale ruolo intendono svolgere. Siederanno in tribuna in attesa che i governi agiscano o entreranno in campo per affrontare le questioni? Essere un manager etico vuol dire riuscire a tenere insieme e far convivere al meglio la parte che genera ricchezza per l’impresa e quella che genera ricchezza per la società̀ in generale. La morale non è un limite, ma una carica creativa. Se continuiamo a consumare risorse cruciali come l’acqua, il cibo, la terra e l’energia senza pensare alla sostenibilità a lungo termine, allora nessuno di noi potrà prosperare. Se l’imprenditoria vuole riconquistare la fiducia della società, deve cominciare a intervenire sui grandi problemi sociali e ambientali che l’umanità si trova a fronteggiare, specialmente in un momento in cui i governi sembrano impigliati in cicli elettorali sempre più serrati e hanno difficoltà a interiorizzare le sfide globali in un mondo sempre più interdipendente e ad uscire “dall’economia trimestrale”. Il termine che usiamo di più per delineare questa tendenza è che stiamo distruggendo il nostro pianeta, ma c’è una precisazione da fare in merito: stiamo distruggendo noi stessi, l’uomo scomparirà, la Terra no, impiegherà forse centinaia di migliaia di anni, ma poi la Terra tornerà e rifiorirà. Senza più noi, però”.

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L’unico modo, quindi, per invertire questa tendenza all’autodistruzione, prima che sia troppo tardi, è la partecipazione attiva dell’impresa alla coniugazione tra le esigenze dell’ambiente, della società e dell’economia. In due parole: una sostenibilità consapevole e un’inclusione equa, non solo perché è utile e conveniente, ma anche perché è eticamente giusto per il bene di tutti, produttori e consumatori.

“‘L’impresa non può essere un mero spettatore nel sistema che le dà vita’. L’ambientalista Paul Hawken ritiene che se in questo momento c’è un deficit da affrontare, è un deficit di significato. E la necessità di un cosiddetto PIL+, di un parametro cioè più ampio per valutare il successo che non sia il semplice accumulo di ricchezza, è ormai entrato nelle discussioni politiche ed economiche e parzialmente anche nelle decisioni dei Governi. Per le imprese, impegnarsi attivamente non è solo la cosa giusta da fare da un punto di vista morale: è anche la congiunzione astrale perfetta, il punto cioè ideale di contatto tra agire etico, essere sostenibili e fare profitto”.

Maria Tringali

 

 

Manageritalia Roma: la Rappresentanza 4.0 secondo Roberto Saliola

Lo scorso 11 novembre si è tenuta, a Roma, la 90a Assemblea Nazionale di Manageritalia. I lavori si sono focalizzati sulla cosiddetta rappresentanza 4.0, ovvero su come dovrebbe evolvere il concetto di rappresentanza per rispondere alle nuove esigenze dei rappresentati, soprattutto in un momento di continui mutamenti dello scenario economico e sociale del nostro Paese. L’obiettivo di Manageritalia è, come sempre, quello di tutelare ancora più efficacemente la professionalità dei suoi associati per fare la differenza sul mercato del lavoro e supportare così uno sviluppo economico sempre più inclusivo e di valore per ogni categoria interessata e coinvolta. Sono proprio questi i concetti che ha espresso nel suo discorso agli associati Roberto Saliola, Presidente di Manageritalia Roma, facendo alcune riflessioni sui progetti futuri sia nel breve, sia nel lungo periodo, su come deve trasformarsi un’Associazione di rappresentanza sindacale per stare al passo con un mondo del lavoro sempre più dinamico e globalizzato.

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“Un’Associazione di rappresentanza moderna ed efficace deve porsi di fronte alla crisi della rappresentanza, alla perdita di rilevanza dei corpi intermedi e ai problemi del mondo produttivo attuale operando con una visione di prospettiva articolata su tre livelli,” ha spiegato Saliola. “Nel breve periodo, dovrà essere in grado di rispondere alle attese degli associati; nel medio periodo, dovrà giocare un ruolo coerente con lo scenario e con gli stakeholder; in prospettiva strategica, dovrà pensare a un mondo diverso da quello in cui oggi siamo, fatto di discontinuità e velocità nei cambiamenti”.

È proprio dall’analisi di questi continui mutamenti, afferma Roberto Saliola, che il concetto di rappresentanza può reinventarsi, partendo da radici solide, per raggiungere capillarmente ogni bisogno di tutti gli attori sul palcoscenico della società attuale.

“Nel processo costante di comprensione e interpretazione del contesto che cambia operato da Manageritalia,” ha raccontato Saliola, “gli associati potranno apprezzare al meglio il ritorno all’appartenenza associativa se l’associato stesso sarà messo al centro dell’attenzione, come individuo con proprie esigenze di tutela specifica, di assistenza nella risoluzione dei problemi, di informazione e formazione e, infine, di networking.

La battaglia per definire, comunicare e difendere i valori della managerialità ha caratterizzato l’attività di Manageritalia che si è sviluppata implementando le quattro dimensioni del nostro agire: dalla dimensione sindacale a quella associativa, da quella istituzionale e quella del movimento.

Queste direttrici di attività hanno generato un necessario ed indispensabile cambiamento culturale per costruire identità collettive e generare appartenenza sociale nella rappresentanza manageriale.

La nostra rappresentanza si distingue inoltre per la ricerca continua di particolare valore etico, per l’attenzione che prestiamo alla componente manageriale delle organizzazioni, all’ambiente che ci circonda e al suo consumo, al volontariato e alle forze vive e sane della società che lavorano perché si arrivi laddove, a volte, la macchina pubblica non arriva”.

rappresentanza

Dopo aver esaminato l’evoluzione devi valori più profondi che uniscono tutti gli associati Manageritalia, sia nella Capitale, sia a livello nazionale, Roberto Saliola ha raccontato a tutti i presenti all’Assemblea l’andamento dei progetti appena conclusi durante quest’anno e l’organizzazione dei nuovi progetti previsti per il prossimo.

“Come ricorderete avevamo deciso di indirizzare la raccolta fondi di quest’anno all’acquisto di un mezzo di trasporto idoneo per il Comune di Amatrice, così duramente colpito dal terremoto nel 2016.

Manageritalia è stata attiva nell’organizzare al meglio della raccolta e gestione dei fondi per il pick up donato ad Amatrice e, sempre con l’intento di aiutare la rinascita dei territori colpiti da terremoto, ha ottenuto dalla CIDA l’importante compito del coordinamento progettuale per ideare e realizzare un progetto di rilancio delle zone colpite dal terremoto in Umbria.

Il prospetto sta esaurendo la sua prima fase che ha visto associati di Manageritalia Roma e di Federmanager operare per fornire le basi organizzative e manageriali alle imprese del territorio umbro. In continuità con queste attività, un gruppo di laureati dell’Università di Perugia, affiancherà le aziende per implementare il progetto manageriale che i nostri associati hanno definito, con il duplice scopo di dare continuità all’operato dei nostri tutor e dare un’occasione e un’alternativa al dover abbandonare il proprio territorio ai giovani laureati.

Infine è partita la definizione di un contratto di rete tra Comune di Norcia, sede della maggior parte delle imprese oggetto del tutoraggio, aziende del territorio e aziende tutorate, per definire e promuovere un brand Norcia”.

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Il Mezzo di soccorso donato al Comune di Amatrice da Manageritalia Roma

Una sfida portata a compimento ma immediatamente foriera di nuovi bisogni e bisognosa di nuovo supporto, richiesta che una associazione di rappresentanza non può non cogliere e che sicuramente contribuisce a sviluppare per sua stessa missione sociale.

www.manageritalia.it

Maria Tringali

 

Roberto Saliola: Storia e Progetti di Manageritalia Roma

In seguito all’elezione del nuovo Consiglio Direttivo di Manageritalia Roma, avvenuta lo scorso 8 maggio, l’Associazione sta continuando a promuovere e a sostenere tutti i progetti e le iniziative previste dalle linee programmatiche approvate dal Consiglio, grazie all’impegno del Presidente Roberto Saliola. Da sempre punto di riferimento irrinunciabile a livello nazionale per la rappresentanza degli interessi collettivi, sociali, istituzionali, culturali, professionali e per l’assistenza attiva al management nostrano, tra le varie sezioni territoriali, Manageritalia Roma spicca per la profondità degli eventi proposti e per la dedizione e la completezza dei servizi di consulenza offerti agli iscritti, a beneficio delle loro professioni e delle loro famiglie. È lo stesso Roberto Saliola a raccontarci quali sono i programmi che il Consiglio Direttivo di Manageritalia Roma si impegnerà a favorire nei prossimi mesi.

Tutte le iniziative di Manageritalia ruotano attorno alla figura del Manager: come si configura il suo nuovo ruolo e quali sono gli obiettivi da perseguire per i Manager di oggi e di domani?

 

Il Manager deve agire sempre più tenendo un comportamento etico dichiarato e riconoscibile. Il nostro impegno sarà, quindi, indirizzato a creare quei presupposti atti a promuovere tutte le condizioni che possano sostenere e favorire l’identificazione del Manager:

  • come motore dell’innovazione e come punto di contatto tra piccole e medie imprese e centri dove si realizza l’innovazione, assicurando un proficuo transfer di competenze, esperienze e soft skills;
  • come strumento di sviluppo della società civile, donando agli altri parte di quello che la società ha concesso a lui;
  • come facilitatore nei processi della creazione d’impresa, portando la propria esperienza d’azienda, o agendo come venture capitalist, ad esempio realizzando una start up o investendo in essa, o realizzando spin off.

Il Manager dovrà essere in grado di trasmettere la logica della misurabilità del proprio operato, contaminando la managerialità pubblica con la cultura del risultato e dell’effetto che tale operato provoca.

Come si misura e come si comunica all’esterno il valore del lavoro di un Manager?

 

Manageritalia mira a promuovere un doveroso presupposto di eticità dell’operato del Manager, di misurabilità dello stesso e di impegno per la collettività. Questi sono gli elementi che contribuiranno a modificare e innovare l’immagine reale del dirigente, dipendente di elevata professionalità e responsabilità e non personaggio pubblico ospite delle pagine di gossip, ed esponente di una categoria professionale che non è la nostra.

La comunicazione corretta del “mestiere” di Manager, della nostra figura e dei nostri compiti potrà essere quell’elemento necessario per tentare di erodere il muro di diffidenza che ancora separa piccole e medie imprese e manager.

Come si inserisce Manageritalia nel racconto del ruolo del Manager nel mondo del lavoro di oggi, tra crisi e tentativi di riforma?

 

Altro punto caratterizzante il nostro impegno programmatico è proprio quello di essere un soggetto in grado di comunicare efficacemente l’importanza della managerialità nelle aziende che nascono o si sviluppano con la guida di un Manager. Siamo convinti, e i numeri e lo storytelling ci confortano in tal senso, che la presenza manageriale nelle imprese rivesta un ruolo fondamentale sia in termini di aumento delle performance, della crescita e della maturità delle piccole e medie imprese, sia in termini di crescita e sostenibilità del sistema paese.

Tra gli obiettivi programmatici di Manageritalia Roma c’è una profonda analisi dello scollamento tra la realtà attuale di molti contesti lavorativi e i cambiamenti che il futuro richiederà per superare questa crisi che sembra non finire mai. Che considerazioni si possono fare in merito?

 

Altro tema sul quale il Consiglio ha deciso di essere attivo fa proprio riferimento alla lenta transizione verso la società della conoscenza. Si registra ancora una difficoltà a operare in una società in cui i modelli di produzione post fordiani continuano a influenzare ancora la modalità di rappresentanza sociale. C’è poca attenzione ai modelli sostenibili di futuro che risiedono nelle persone, nella loro creatività, nel loro benessere, invece che nelle macchine e nel determinismo. A questo si aggiunga un lento adeguamento al cambiamento negli stili di vita professionale e personale e una difficoltà nel fornire risposte alla nuova domanda di tutele e di welfare e workfare.

I modelli perdenti si concentrano sul ripiegamento delle aziende su se stesse in nome della perfetta efficienza della performance, facendo aumentare diseguaglianze di genere, registrando crescita in maniera non omogenea di ricchezza e povertà, di inclusione ed esclusione, protezione e insicurezza.

Le nuove tecnologie impongono cicli produttivi sempre più brevi e profonde innovazioni di prodotto, di processo e di filiera, nei quali è fondamentale il ruolo del Manager, quale elemento di cerniera e di fluidificazione tra innovazione e business, tra risultati e qualità del lavoro, tra proprietà e lavoratori.

Nel periodo di crisi che abbiamo vissuto e stiamo tuttora vivendo, nel quale i corpi intermedi sono messi in discussione come ruolo e come utilità sociale, il ruolo dei dirigenti in azienda ha di fatto rappresentato il vero corpo intermedio, operando come efficace elemento di comunicazione tra proprietà e dipendenti e di traduzione ed interpretazione tra obiettivi e sostenibilità degli stessi. Questa operazione di facilitazione, mediazione e controllo tra obiettivi aziendali e sostenibilità degli stessi è alla base, accanto al presidio e supporto che il CCNL rappresenta, della sostanziale tenuta dei nostri associati in questi tempi.

La capillarità della presenza di Manageritalia su tutto il territorio nazionale è uno dei punti di forza dell’Associazione che ne evidenzia l’approccio sistemico al mondo del lavoro. Che novità ci saranno in questo senso per agevolare la crescita e lo sviluppo?

 

Abbiamo deciso di essere più presenti nelle nostre regioni (Lazio, Umbria, Abruzzo, Molise e Sardegna), non investendo in presidi fisici, ma portando sul nostro territorio workshop e iniziative, anche in ciò supportati dal nostro centro di formazione, il CFMT. Riteniamo sia strategico, oltre che eticamente corretto, raggiungere gli associati con eventi nei territori di residenza.

Risulta, infatti, utile migliorare l’accreditamento e la legittimazione dell’Associazione, uscendo da una “dorata autoreferenzialità” e crescendo nelle comunità locali in termini di visibilità e autorevolezza.

Maria Tringali

www.manageritalia.it