Ritrovarsi seduti alla stessa tavola porta spesso alla luce la vera natura delle persone. Questa volta non si tratta semplicemente di un luogo comune, ma di un originale pretesto per sbirciare nell’intimità e nella personalità di chi ci ha ispirato durante gli anni della nostra formazione. Ci è riuscita magistralmente Gabriella Greison, fisica, giornalista e scrittrice, nel suo ultimo romanzo, “L’incredibile cena dei fisici quantistici”, Salani Editore. È il 29 ottobre 1927 e, a Bruxelles, si è appena concluso il V Congresso Solvay della Fisica che ha avuto per protagoniste alcune tra le menti più eccelse del secolo scorso come Albert Einstein, Marie Curie, Niels Bohr, Arthur Compton, William Bragg e Irving Langmuir, tra cui ci sono i fondatori della Fisica Quantistica come la studiamo oggi. Dai tavoli di studio, a quelli apparecchiati e imbanditi, gli stessi scienziati si apprestano a partecipare a una cena di gala organizzata dai reali del Belgio. Un evento realmente accaduto, del quale, però, nessuno ha mai saputo nulla, almeno finché l’impareggiabile estro creativo di Gabriella Greison ha plasmato la realtà con la fantasia, dando vita a un romanzo originale e divertente, che ha il pregio di umanizzare personaggi dallo spessore indiscutibile, spiegando anche la genesi di alcune tra le loro teorie più famose. È così che la Fisica prende corpo, trasformandosi in un romanzo davvero alla portata di tutti che, attraverso uno scrupoloso lavoro di ricerca guidato da curiosità e passione, è il frutto di un approccio sistemico in equilibrio tra scienza, letteratura e divulgazione.
Partendo da un evento storico realmente accaduto, è riuscita a costruire “L’incredibile cena dei fisici quantistici”, Salani Editore, un romanzo sorprendente e originale che, attraverso il linguaggio della narrativa, spiega la nascita delle più complesse teorie scientifiche dell’epoca moderna e svela le personalità nascoste di alcuni tra gli scienziati più geniali del secolo scorso. Ci racconti la genesi di questo libro: cosa l’ha ispirata durante la stesura?
Tutto è nato dall’ossessione per una fotografia, una splendida foto in bianco e nero che ritrae ventinove uomini in posa, quasi tutti fisici, di cui diciassette erano o sarebbero diventati dei premi Nobel. La foto me la ritrovo per le mani da quando ero piccola, poi l’ho vista all’Università degli studi di Milano, dove mi sono laureata in Fisica, perché un professore ce l’ha mostrata durante una sua lezione, dopo l’ho rivista all’Ecole Polytechnique di Parigi e, questa volta, era una gigantografia all’ingresso, e, successivamente, l’ho ritrovata di nuovo, da grande, quando entravo in un ufficio di quelli che la tengono in bella mostra. Ma tutte queste persone di questa foto non mi hanno mai raccontato niente, al massimo mi dicevano “guarda Einstein” o “guarda c’è pure Marie Curie”. Io, invece, mi sono appassionata a tal punto a questo più grande ritrovo di cervelli che la storia ricordi, che sono dovuta andare a Bruxelles, esattamente nel posto dove è stata scattata, ho chiesto, fatto domande, indagato. Ho trovato l’albergo dove gli scienziati hanno dormito, ho alloggiato nella stessa stanza dove dormiva Einstein, ho cercato negli archivi che tengono i documenti di quella settimana che queste grandi menti hanno passato insieme, li ho tradotti, assieme alle lettere che questi uomini si scambiavano. Ho tradotto le loro biografie, ho fatto ricerche per due anni interi. Alla fine sono riuscita a trovare la disposizione di quella tavolata alla Taverne Royale di Bruxelles dove i fisici hanno cenato subito dopo aver scattato la foto, e poi il menù della serata, e quindi ho creato il romanzo: un capitolo per ogni portata, sette portate, ciascuna con il vino dedicato. La cena era con i sovrani del Belgio, quindi l’immaginazione ha fatto il resto. Nel libro racconto tutto di quella cena, di cui nessuno ha mai saputo niente prima, di cui nessuno si è mai interessato, e, visti i documenti che avevo in mano, non potevo fare altro che crearci un libro. Prima non c’era e adesso esiste, è questa la mia più grande soddisfazione.
Quando e da dove nasce la sua esigenza di scrivere? Come ha coniugato la sua professione di Fisica col mestiere di autrice? È ancora possibile oggi, secondo lei, fare della scienza, della divulgazione e della ricerca un lavoro a tempo pieno?
Io sono fisica, dopo che mi sono laureata mi sono occupata per diverso tempo di ricerca, poi ho lavorato anche nei laboratori del Museo della Scienza e della Tecnica di Milano, e, successivamente, ho preso l’abilitazione all’insegnamento e ho insegnato fisica nei licei. Dopo queste esperienza ho iniziato a fare divulgazione e sono diventata giornalista professionista, occupandomi spesso di argomenti anche lontani dalla scienza. Dal giornalismo ho iniziato a scrivere libri che hanno sempre avuto un buon riscontro da parte dei lettori e non mi sono più fermata fino a oggi, dopo un percorso che mi ha permesso di concretizzare tutto quello che la passione mi spingeva a fare. Non sono scesa a compromessi, non ho seguito le idee precostituite sui posti di lavoro o su come bisogna tenersene uno, e sono andata avanti, e ancora avanti, cercando l’appagamento soltanto in quello che facevo e che mi appassionava di più.
Crescere, velocizzare, semplificare: tre concetti fondamentali per uno scienziato che costituiscono i capisaldi dell’approccio sistemico in qualsiasi ambito. Quali vantaggi comporta questo metodo nella conciliazione tra ricerca scientifica e mondo del lavoro?
Crescere è la parola più importante per uno scienziato. La crescita personale e collettiva è il motivo di tanti sforzi di tante domande a cui i ricercatori provano a rispondere e su cui si concentrano i loro lavori. Velocizzare, invece, è una parola che i matematici e i fisici conoscono bene, avendo molto a cuore il tempo e il suo utilizzo. E poi semplificare, certo, rendere più semplici possibile i concetti, le teorie, le trovate che portano alle soluzioni.
Ci racconti un episodio, un aneddoto, una storia relativa alla nascita e alla stesura del suo romanzo che le ha fatto comprendere che stava percorrendo la strada giusta…
Come ho anticipato, lo spunto è nato dalla foto che ritrae insieme gli scienziati prima della cena che, nel corso degli anni, mi ha quasi rincorso. Di sicuro il momento più importante è stato proprio quando ho deciso di trasformare questa curiosità in un romanzo e tutte le ricerche che ne sono scaturite prima di arrivare al risultato finale.
Che suggerimento darebbe a chi volesse seguire le sue orme in un momento di transizione così complesso e delicato per la realtà italiana? Quali sono, invece, i suoi progetti per il futuro?
Il mio consiglio è leggere le biografie dei grandi fisici del XX secolo. Dentro le loro vite c’è già tutto. Nel mio futuro c’è lo spettacolo teatrale “1927 MONOLOGO QUANTISTICO”, di e con me sul palco, regia di Emilio Russo, produzione Teatro Menotti di Milano. Abbiamo appena chiuso la prima tornata di repliche al Teatro Menotti, ma torneremo molto presto. Inizieremo, infatti, un tour negli altri teatri italiani e tutte le informazioni saranno presto disponibili sul sito del Teatro Menotti per tutti coloro che vorranno venirci a vedere. Si tratta di un’altra grade impresa, con il regista ho lavorato per costruire questa storia e la porto in scena da sola. Ogni sera sono venute a trovarci centinaia di persone, abbiamo avuto perfino il tutto esaurito: è stato fantastico! Eppure io racconto sempre di Einstein, Marie Curie, Schordinger, Dirac, Pauli, Heisenberg, Lorentz, Planck… Racconto il loro lato umano, i loro tic, le loro manie. Ho fatto bene a divorare nel corso degli ultimi anni le loro biografie, ora le posso raccontare sul palco con grande soddisfazione.
Alessandra Rinaldi