“Mamma, perché non scrivi qualcosa che possa suggerire a chi cerca lavoro come presentarsi ai colloqui di selezione?”
“Io non sono una specialista di selezione, non saprei cosa suggerire…”
“Ma se fai selezione da quasi quaranta anni!”
Forse è vero. In fondo è proprio facendo un mestiere che si impara a farlo. Ma quando possiamo davvero dichiarare che lo abbiamo imparato? Quando possiamo definirci specialisti e quindi iniziare a trasmettere il nostro sapere?
Non è facile rispondere a queste domanda, ecco perché, da una domanda apparentemente banale fattami da mia figlia, quello che prima mi era sembrato strano e inopportuno, ora, invece, diventa un obbiettivo: utilizzare l’esperienza per tramandare conoscenza.
Sicuramente tanti, forse mille o più, saranno i testi che, tra Web e manuali, trattano il tema di come, soprattutto i giovani, si pongano alla ricerca di un posto di lavoro e di come si propongano ad un colloquio.
Uno, però, di recente, mi ha colpito ed è quello di Beppe Severgnini del 6 luglio 2017, numero 27 dell’inserto “7” del Corriere della Sera, dove l’autore sottolinea un atteggiamento molto comune tra i giovani aspiranti ad un posto di lavoro che non considerano l’importanza di una adeguata preparazione al momento del colloquio, portando così il confronto tra i due protagonisti, il candidato e l’azienda, a un livello di improvvisazione e quindi di scarsa attenzione.
Gli Italiani sono noti per la loro alta capacità di Intuizione, scrive Severgnini, e condivido come forse in questa sfera non siamo secondi a nessuno, ma è sul tema della preparazione che ci perdiamo, tanto da apparire superficiali e non solo ingenui per la giovane età.
Cosa suggerire, quindi, affinché il momento del confronto durante il colloquio sia costruttivo, indipendentemente dal risultato? Quale manuale possiamo far leggere ai giovani professionisti del futuro per migliorare il loro approccio alla selezione in azienda?
Da anni si assiste a un crescente uso di test che agiscono in modo preliminare per “snellire” il numero dei candidati alle varie posizioni lavorative, ma cosa succede quando dalla simulazione si passa alla reale presentazione di sé, dei propri sogni e, soprattutto, delle proprie abilità culturali?
Cosa dobbiamo imparare come candidati e cosa le Aziende e i “selezionatori” tengono in considerazione quando finalmente si giunge al momento di conoscenza diretta?
Ogni realtà lavorativa costruisce e differenzia i propri processi di selezione rispetto al modello di business nel quale è inserita e alle competenze che ricerca nei ruoli vacanti. Ecco perché è fondamentale informarsi circa le caratteristiche della realtà lavorativa alla quale mi sto proponendo, per capire cosa delle mie particolarità compiute o in divenire possa essere presentato durante il colloquio.
Il segreto sta nell’individuare gli elementi di valore che possono rendere interessante agli occhi dell’altro la mia candidatura, costruendo conseguentemente la mia storia personale in funzione del messaggio che voglio far giungere e comprendere alla persona che sto incontrando.
Un colloquio di selezione, quindi, si costruisce sulla base di due elementi:
• una profonda conoscenza di sé in termini di competenze acquisite in funzione dei desideri personali che si sono sviluppati nel corso degli anni di studio o di lavoro svolto,
• una buona conoscenza del contesto aziendale al quale ci rivolgiamo in termini di modello di business, immagine sul mercato e storia aziendale, informazioni oggi facilmente reperibili sui Media.
L’abilità che dobbiamo dimostrare al nostro interlocutore è quella di far convergere questi due elementi nella descrizione del nostro io.
Costruire una immagine di sé non vuol dire dare spazio a profili professionali inesistenti o velleitari ma individuare le caratteristiche che realmente possono interessare in funzione del contesto e del ruolo e finalizzare il nostro racconto in base a questo.
Un ruolo fondamentale possono avere le domande: rispondere alle domande con coraggio e determinazione dimostra maturità: indispensabile elemento per ogni buona prestazione lavorativa.
Se inoltre ci viene dato lo spazio necessario, o addirittura ci viene richiesto, fare delle domande farà capire il nostro interesse e la reale motivazione all’opportunità proposta.
La domanda è la vera chiave per conoscersi, sia quelle che riceviamo, sia quelle che poniamo, perché durante il colloquio non solo l’azienda ha la possibilità di conoscere noi e le nostre esperienze, ma anche noi abbiamo la possibilità di capire se realmente il lavoro proposto e la realtà che ci sta accogliendo sono quanto di meglio e di più opportuno possiamo aspirare.
Le Domande che riceviamo ci confermano cosa l’azienda sta ricercando, le risposte a quelle che noi poniamo e la conseguente percezione che il nostro interlocutore ci mostra, ci possono far capire elementi di cultura aziendale e la considerazione che l’azienda ha delle sue persone: la risorsa più pregiata.
L’equazione che Beppe Severgnini nel suo articolo poneva a guida della sua analisi era:
I + I = I
Intuizione + Impreparazione = Improvvisazione
Quale strumento educativo da applicare a questa, purtroppo troppo spesso, formula comportamentale, vorrei proporre una lettura alternativa:
I + I = I
Intuizione + Impegno = Ingaggio
Dove con Intuizione confermo la capacità, forse tutta latina, di non scoraggiarsi di fronte all’imprevisto o all’ignoto ed avere il coraggio di argomentare e affrontare le varie situazioni con una buona dose di fiducia in se stessi.
Con Impegno, invece, dobbiamo intendere la capacità di approfondire con tenacia e sacrificio lo studio della situazione. Costruire modelli di riferimento, sviluppare cultura e quindi attenzione a quello che ci circonda, al quale teniamo ed al quale vorremmo legarci per la nostra professionalità futura.
Solo grazie a questo tipo di impegno potremo mostrare davvero il nostro valore e il contributo che saremmo capaci di dare e dimostrare che siamo proprio noi la persona che stanno cercando.
Ingaggiamo l’altro in funzione dell’impegno che sapremo dimostrare di aver messo nella comprensione di quanto ci viene presentato e della nostra reale motivazione a credere nel ruolo proposto.
Tanti anni fa quando altre, ma pur sempre forti crisi economiche turbavano il mondo del lavoro, ricordo una giovane laureanda che, alla domanda: “Lei cosa vorrebbe fare al nostro interno?”, rispose al selezionatore con un sorriso ingenuo, ma non superficiale: “vorrei tanto fare il suo lavoro…”.
E non era un sogno. Era quasi un miraggio! La possibilità di raggiungere una meta percepita così lontana e irraggiungibile, da spingermi, ancor oggi, a dire che forse non sono ancora così brava a fare selezione. Devo sicuramente leggere quel testo o frequentare quel corso o parlare con quello specialista o…
Maria Tringali