Se quello dell’insegnante è un compito non facile dalla notte dei tempi, come è cambiato il suo ruolo nel nostro Paese dal Dopoguerra a oggi? In una scuola pubblica che, da un lato garantisce un massiccio accesso all’istruzione, ma, dall’altro soffre ancora di una forte dispersione degli allievi, sempre meno motivati, e di una crescente diminuzione dell’autostima degli insegnanti, costretti ad anni di precariato prima di raggiungere la stabilità, cosa è cambiato tra una generazione di docenti e l’altra?
A raccontarci il loro punto di vista saranno Giovanni ed Emma, nomi di fantasia, ma veri padre e figlia, entrambi insegnanti di materie umanistiche in una scuola secondaria di primo grado e primaria, ma in epoche storiche ed economiche decisamente differenti. Giovanni è ormai in pensione da molti anni, mentre sua figlia Emma è attualmente nel pieno della sua attività lavorativa. Entrambi hanno ricoperto e stanno ricoprendo il proprio ruolo nel nord Italia, anche se le radici della loro famiglia appartengono al sud e sono stati protagonisti di una storia di emigrazione e integrazione simile a tante altre nel nostro Paese durante il secolo scorso.
Di seguito saranno gli stessi Giovanni ed Emma a esporre in prima persona le loro opinioni, rispondendo separatamente alle medesime domande della nostra intervista. Ciò che se ne deduce è che solo il confronto costruttivo può aprire strade apparentemente nascoste e costruire ponti là dove i percorsi sembrano irrimediabilmente interrotti, al fine di rafforzare l’approccio sistemico anche nella fragile scuola di oggi.
Emma: La scuola è passione, pura passione. Ho intrapreso questo percorso immaginandomi insegnante fin da giovanissima. Accudire, stabilire relazioni, condurre menti attraverso percorsi fantastici alla scoperta dell’universo attorno e del proprio interiore mi è sempre sembrato il compito più misterioso e utile che si potesse affrontare.
Ho amato studiare la psicologia e la pedagogia e ho viaggiato attraverso l’aritmetica razionale per imparare a smontare e a rimontare i concetti astratti e tradurli in stimoli concreti.
La scuola, per me, rappresenta l’opportunità fondamentale e il diritto più civile alla base di ogni società. L’occasione di sviluppo più democratica mai pensata: espressione di crescita e progresso, un diritto ed un dovere, ma anche fonte di speranza per ogni tipo di cultura e di religione.
La mia soddisfazione più grande sta nel poter constatare la gioia con cui i miei alunni vengono a scuola. Scorgere l’espressione di serenità sul loro volto al loro arrivo, nel momento in cui mi seguono in un lavoro e perfino nel momento in cui sono messi alla prova; ricevere i loro continui messaggi d’amore e affetto e raccogliere le loro confidenze; sapere di essere un punto di riferimento affettivo: queste sono solo alcune delle soddisfazioni che mi muovono e mi sostengono ogni giorno. Punto di partenza e punto di arrivo.
Poter constatare progressi anche nei ragazzi che partono svantaggiati non ha prezzo. E vedere un gruppo di ragazzi che si autoregola nel rispetto reciproco e nel rispetto altrui, perché consapevoli e non perché timorosi di castigo rappresenta il successo di cui essere più orgogliosi.
A proposito di speranza, la scuola talvolta ne disattende alcune. Chiariamo però: scuola non è una entità a sé e singola. Scuola è un complesso sistema fatto di famiglie, educatori e organi territoriali.
In questo insieme articolato e delicato di speranze talvolta se ne disattende qualcuna: a cominciare dal rapporto di sinergia e corresponsabilità che dovrebbe instaurarsi in modo attivo e costruttivo tra l’istituzione scolastica e la famiglia.
Troppo spesso trovo che la famiglia concepisca la scuola quale unico luogo deputato e delegato alla crescita dei suoi minori. A volte il genitore, pur nutrendo grandi aspettative ed attese, si colloca all’esterno del percorso, con atteggiamento a priori sospettoso e percependo se stesso al di fuori, come se il processo educativo e scolastico del figlio non lo riguardasse in quanto a responsabilità.
Un’altra sinergia attesa in un sistema scolastico, ma non sempre corrisposta in misura consona, è quella che dovrebbe stabilirsi con gli organi territoriali e i committenti politici in fatto d’attenzione e di cura, specie quando si parla di fondi e finanze. Ma questo è un discorso che porta lontano, ai vertici. La spaccatura tra chi lavora e chi legifera, tra la scuola vera e chi si occupa di introdurre variazioni e riforme è sempre più grande. E non vi è una concreta condivisione di intendi e orizzonti. L’insegnante non viene quasi mai interpellato, eppure è colui che vive le situazioni nel concreto ogni giorno. Colui il quale dovrebbe avere competenza per esprimere un’attenta analisi sui bisogni e proporre soluzioni.
L’insegnante ha frequentemente l’impressione di essere rimasto l’unico e l’ultimo soggetto a rendersi conto di quanto investire in cultura ed educazione sia alla base di ogni piramide.
Tutto ciò che è scuola, educazione, cultura e formazione, dovrebbe essere interesse di ogni cittadino. Non solo del docente affaticato, del genitore accanito o dello studente in formazione. Anche perché queste tre componenti formano un insieme molto vasto della popolazione. Come può non essere argomento e dibattito comune? Noi insegnanti siamo una categoria in continuo divenire e sempre sotto osservazione. Il ruolo dell’insegnante non è un ruolo lavorativo in senso unico. La prestazione che è richiesta all’educatore include una sovra-mansione: il coinvolgimento emotivo-affettivo nel processo di crescita di un altro individuo. Così come un medico o un infermiere è coinvolto in un processo di malattia o guarigione del suo paziente, allo stesso modo un educatore è coinvolto attivamente nell’evoluzione fisica, cognitiva e prima ancora emotiva ed affettiva del suo allievo: il mio lavoro è relazione.
Questo è al contempo l’aspetto più gratificante e più faticoso, sicuramente il più significativo, del mio compito. Cosa c’è di oggettivo in una relazione uno a uno? E cosa vi è di oggettivo in una relazione uno a molti? Lo scoglio duro del sistema scuola è la valutazione dei bambini. Sulla quale, però, per quanto mi riguarda, si dovrebbe aprire un lungo capitolo a parte. Anzi, un’enciclopedia in più volumi! Una cosa è certa: i bambini ci osservano. E ci valutano. I genitori ci osservano. E ci valutano. I colleghi stessi ci osservano. E ci valutano, direttamente o indirettamente.
Emma: Le difficoltà che come maestra incontro oggi quotidianamente sono tante. Per quanto concerne l’organizzazione e la gestione, riscontro tuttora un eccesso di burocrazia e formalità. Si parla di dematerializzazione per ridurre carta e snellire procedure, ma in molti casi si tratta solo di aver convertito le continue e innumerevoli richieste di formalizzazione di atti, procedure e documenti in formato digitale, o addirittura sia in formato cartaceo, sia in formato digitale.
Le segreterie didattiche sono sommerse di lavoro all’insegna delle formalità, dei protocolli e dei continui cambiamenti che devono andare a regime subito e non riescono a gestire poi le comunicazioni di base per l’organizzazione di fatti semplici e contingenti.
Inoltre, sarà forse scontato, ma voglio sottolineare anche in quale stato di degrado e decadimento strutturale molte delle nostre scuole versino. Calcinacci, pioggia che filtra, muffe, mancanza di carta igienica, guasti vari e assenza di dispositivi informatici in misura congrua e persino carenza di materiale di facile consumo che spesso portiamo da casa sono tutti sintomi di una crisi che riguarda le risorse destinate all’istruzione di base pubblica.
Gestire i ragazzi oggi è molto complicato. Perché bambini, preadolescenti e adolescenti oggi rappresentano un insieme generazionale che per la prima volta vive temi e questioni delicate e complesse che i genitori stessi affrontano per la prima volta, ritrovandosi anche piuttosto impreparati. Anche io sono mamma di due bambine che hanno la stessa età dei miei alunni e da genitore mi rendo conto di quali cambiamenti epocali stiamo vivendo nel rapporto genitore-figlio e nel mestiere del genitore a causa delle caratteristiche sociali e culturali della nostra società attuale. Per quanto riguarda le famiglie alle spalle dei bambini che arrivano nelle nostre scuole, gli educatori concordano nel rilevare le medesime carenze educative e i punti cardinali di un problema genitoriale di fondo. Per molti genitori l’amore passa dall’iperprotezione, da un lato, e dalle aspettative ultracompetitive e di perfezione, dall’altro. La scuola è diventata, dunque, l’organo deputato a farsi carico da solo delle emergenze sociali di oggi.
Oggi che non ho più esperienza diretta conosco la scuola attraverso i commenti di chi la vive ogni giorno, a prescindere da quale lato della cattedra si trovi, e devo ammettere che io mi troverei a disagio. Nessuno più ti domanda: “Cosa hai insegnato? Cosa hai trasmesso oggi ai tuoi ragazzi?”. Conta solo che tutto sia registrato, compilato, trasmesso per lo più utilizzando il computer. Ai miei tempi avevamo un registraccio di carta che serviva a malapena per fare l’appello, le cose importanti le tenevamo a mente!
Emma: Il corpo docenti che conosco e di cui ho esperienza è caratterizzato da versatilità, motivazione, tenacia e dalla capacità di rigenerarsi continuamente. La scuola è Ricerca e Azione, cioè Ricerc-azione! Questa è una parola inventata forse, ma anche una prospettiva augurabile.
Da qualche anno l’insegnante motivato e attento è circondato e raggiunto da nuovi stimoli e da svariate proposte di formazione atte a superare le difficoltà concrete e ideologiche e a dotare i docenti di nuovi strumenti, di nuovi linguaggi, adatti ai cambiamenti e al passo coi tempi.
Io per esempio da qualche anno apprezzo l’uso della LIM (Lavagna Interattiva Multimediale) e dei contenuti multimediali correlati per la strutturazione di lezioni dinamiche e accattivanti. La LIM è, a mio avviso, uno strumento dalle innumerevoli potenzialità, capace di aiutare a costruire ambienti di apprendimento stimolanti ed inclusivi. Rispecchia e si avvicina molto al linguaggio “per immagini” e al contatto diretto e immediato con i contenuti che caratterizza le generazioni attuali di studenti, anche i più piccoli.
Sono poi entrata a far parte del Team digitale del mio istituto e sto seguendo i corsi per la formazione previsti nel Programma Operativo Nazionale (PON) del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, intitolato “Per la Scuola – competenze e ambienti per l’apprendimento”, finanziato dai Fondi Strutturali Europei che contiene le priorità strategiche del settore istruzione e ha una durata settennale, dal 2014 al 2020.
Sono inoltre molto incline ad una scuola fatta di attività esperienziali e scoperte sul territorio e nella natura, in grado di stabilire un positivo e coerente contatto tra i ragazzi e la realtà in modo semplice ed efficace che vengono promosse e sostenute ogni volta che si può.
Queste sono le carte che la scuola che conosco si sta giocando. E spero che il movimento di scambio e di apertura continui, pur senza stravolgere e scardinare in negativo quelle che sono le basi fondamentali e costituenti di un sistema scolastico pubblico, efficiente, riconosciuto e garantito.
La forza della scuola primaria è la cultura della condivisione, dello scambio, della cooperazione, all’insegna dell’innovazione tecnologica, dell’inclusività e dell’esperienza.
Emma: Talvolta mi capita di incrociare dei signori con barba e prole al seguito che con vociona di uomo mi dicono: “Ciao, maestra!” e i loro occhi si illuminano in un sorriso che torna fanciullo e spensierato, pieni di affetto e gratitudine. In quel momento volo indietro nel tempo a ritrovar quello sguardo e in un batter di ciglio eccolo là: nome e cognome, classe, anno e la sua personalità riaffiorano come non fosse mai trascorso del tempo.
Ciò che vorrei consigliare agli insegnanti di oggi è, quindi, dare più importanza alla didattica e meno alla burocrazia. È dalla didattica che nasce l’essere umano e non dalla burocrazia del Ministero. Ho nostalgia della scuola, perché era un ambiente vivo dove non ho mai pensato di confrontarmi con dei bambini, ma con i cittadini di domani. E molti oggi hanno i capelli bianchi come me.
Emma: Le esperienze d’osservazione reciproca tra insegnanti sono state utilizzate con grandi guadagni in molte scuole. Queste sarebbero da estendere e sostenere, ma le scelte politiche e le condizioni organizzative attuali stanno cancellando la possibilità di queste fertili occasioni di riflessione e apprendimento dall’esperienza.
Il neo immesso in servizio porta con sé sicuramente un grande bagaglio di conoscenze teoriche e nozioni. Forse, a mio avviso, ciò che può delinearsi come un gap ancora troppo netto è la linea che separa sapere da saper fare. E anche quella buona dose di problem solving che si apprende con l’esperienza e con l’esempio pratico delle colleghe più esperte. Insomma, come in tutte le situazioni un conto è la teoria, altro conto è la pratica. A volte ho visto approdare alla mia non facile realtà scolastica giovani supplenti indottrinati e carichi di entusiasmo giovanile. E mentre io li vivevo come nuova fonte di vitalità e di cambiamento, pozzi a cui attingere, loro non avevano la medesima umiltà di comprendere che osservare il veterano in trasferta poteva essere una chance. Spesso chi è in servizio da anni compie una sorta di vera e propria scuola di scuola. Che non è solo un gioco di parole. Ad ogni modo invito i docenti tutti, nuovi e veterani, a porsi sempre e costantemente delle domande e soprattutto a porre quelle giuste.