“Este libro fue pensado como una caja de herramientas para apoyar los empresarios novicios – y emprendedores mas expertos – a costruir empresas de éxito basados en productos innovadores. Tambien los emprendedores seriales con consolidada experiencia en un campo o en un sector especifico, pueden reconocer en este 24 pasos una guía útil para traer de una manera mas efectivo los productos en el mercado. Como empresario, me fueron útiles muchas fuentes, de los libros a los mentores, sobre todo mi experiencia directa. Sin embargo, no he encontrado uno aún unica capaz de fusionar diferentes aspectos exhaustivamente.”
Como no hay manual antes de ahora ha puesto nunca junto teoría y práctica, estudio y experiencia,de una manera totalmente exhaustiva, el carismático empresario Bill Aulet, Director General de Martin Trust Center for MIT Entrepreneurship en el MIT y profesor a la Sloan School Management de MIT, decidió escribir un libro que fue una grande inspiración para muchos gerentes de todo el mundo, “La disciplina de un empresario”, publicado en Italia por Franco Angeli.
Este texto se convirtió en un best seller internacional traducido a más de veinte idiomas, consiste en lo que Bill Aulet ha definido los 24 pasos necesarios para crear una strart up de éxito, siguiendo los pasos de los mejores, pero también aprendiendo a caminar, con coraje y expectativa, caminos nunca antes golpeados.
Como en un juego de ganso 2.0., que no es un “juego” en absoluto, el autor explica, con estilo deslizante y método intuitivo, el “viaje” que todo empresario potencial debería hacer y cómo se puede enseñar el espíritu empresarial y, entonces, aprendido por cualquiera, con la humildad de los que tienen profunda confianza en sus propios medios, pero también con la conciencia de que incluso el mejor “instinto” debe refinarse y mantenerse en entrenamiento gracias al estudio y la experiencia en el campo.
Bill Aulet divide los primeros 24 pasos a seguir para crear una actividad y gestionarla con éxito en seis temas principales que responden a la mayor cantidad de preguntas fundamentales para comenzar con el pie derecho:
1.¿Quién es tu cliente? 2.¿Qué puedes hacer por tu cliente? 3.¿Cómo el cliente compra su producto? 4.¿Cómo obtienes ganancias con tu producto? 5.¿Cómo diseñas y construyes tu producto? 6.¿Cómo puedes expandir tu negocio?
Preguntas aparentemente simples,pero a lo cual es necesario dar desde el principio las respuestas más sólidas y concretas posibles para no tener fallas en el proyecto. Cada tema consta de una serie de pasos a seguir antes de abordar el siguiente tema y cada paso es diseccionado por el autor también gracias al uso de ejemplos prácticos, diagramas, tablas, hojas de resumen y cómics comprensivos y comprensivos.
Al final de los 24 pasos, el empresario podrá enfocarse mejor y, entonces, para mejorar su idea de negocio, identificando la oportunidad de mercado adecuada para aprovechar y combinando los aspectos puramente económicos y productivos con los recursos humanos disponibles para ellos. La eficiencia, tanto en la gestión como en la construcción del producto y en su promoción a favor de los clientes objetivo, son los objetivos a alcanzar que pondrán en movimiento el círculo virtuoso que debe caracterizar la vida de cada empresario,son los objetivos a alcanzar que pondrán en movimiento el círculo virtuoso que debe caracterizar la vida de cada empresario,Tanto por su papel en la sociedad, como por su satisfacción personal, entre empatía y competitividad. Un empresario disciplinado es un empresario que, además de construir personalmente para sí mismo, comprende y evalúa todo potencial, incluso un favor de los demás, ya sean clientes o competidores, de acuerdo con los valores de un sistema social más alto que debería ser para todo el terreno fértil sobre el cual sembrar su futuro y cosechar los beneficios.
Il libro di oggi è senza dubbio fuori dai normali canoni di Sistema Generale, sia per i temi trattati che per la modalità con cui è stato scritto. Edito dalla casa editrice fiorentina Ponte alla Grazie e pubblicato nell’ottobre del 2018, “Venti di Protesta – Resistere ai nemici della democrazia” raccoglie una serie di interviste di Noam Chomsky raccolte da David Barsamian in un periodo che va dal giugno 2013 allo stesso mese del 2017, la maggior parte avvenute realmente, un paio raccolte via mail.
Il primo, Chomsky, classe 1928, è un linguista, un filosofo e scienziato cognitivista, tra i massimi teorici del linguaggio viventi e fondatore della grammatica generativo-trasformazionale, nonché docente emerito del Massachusetts Institute of Technology con alle spalle una lunghissima sequela di pubblicazioni di straordinario livello.
Il secondo, Barsamian, decisamente più giovane essendo nato nel 1945, è un attivista, fondatore e conduttore radiofonico di una radio alternativa americana nata dalla frustrazione per la mancanza di voci progressiste, giornalista indipendente rispettato in tutto il mondo per analizzare i problemi sociali, economici ed ambientali più urgenti e globali che già in altre occasioni ha collaborato con Chomsky.
Il frutto di questa collaborazione è un volume con dodici interviste che spaziano dallo “Spionaggio di stato e democrazia” alla “Presidenza Trump”, indagando ciò che è sotto gli occhi di tutti noi.
Il Medio Oriente, la radice dei conflitti, le strategie della paura piuttosto che le crisi e le mobilitazioni, i sistemi di potere che non regalano nulla e la memoria dell’uomo, l’analisi dell’ISIS, dei curdi e della Turchia, il senso del voto e delle elezioni, le alleanze e il controllo e, infine, l’auspicio verso una società migliore.
Chomsly parla di questi argomenti che storicamente sembrano così lontano da noi, con la pacatezza e la razionalità che lo contraddistinguono, senza mai diventare un maestro o un saggio supponente. Anzi, incarna una figura di riferimento che ci spinge ad interrogarci realmente su quello che vediamo e che soprattutto sentiamo intorno a noi, ricordandoci l’importanza della nostra intelligenza, unico strumento per fronteggiare e comprendere ciò che ci circonda ma, soprattutto, per capire realmente quello che sta succedendo intorno a noi e cosa è necessario fare perchè «Non possiamo ignorare che siamo in un momento unico della storia umana. Per la prima volta le decisioni che prenderemo determineranno la sopravvivenza o meno della specie. Non era così in passato. Oggi lo é.»
Personalmente ho letto questo libro due volte a distanza di poco tempo con la volontà di capirlo a fondo. Durante la seconda lettura mi sono imposta di non leggere le datazioni riportate sotto ogni intervista per non classificarle temporalmente “lontane” dal giorno d’oggi. Con immensa – ma amareggiata – sorpresa ho ritrovato, anche nelle interviste più vecchie, una disarmante attualità.
Chomsky allora è un veggente? No. È una persona dotata di una grande capacità di analisi reale di ciò che lo circonda, sicuramente fonte di sapere inesauribile. Il suo particolare attivismo ed impegno politico e il suo essere un innovatore radicale, lo collocano tra le dieci fondi più citate nella storia della cultura – al fianco di Shakespeare, Marx e la Bibbia -.
Questo volume diventa allora uno strumento per capire il mondo di oggi e per assumerci la responsabilità delle nostre scelte, ma prima ancora per il fatto che ci spinge a decidere cosa vogliamo per il mondo che sembra rischiare il proprio futuro. E, non potendo considerarci altro che Cittadini del Mondo, la sua sopravvivenza dipende da noi.
Volutamente, non ho voluto svelare nulla di quanto letto in questo libro, scegliendo di incuriosirvi per farvi diventare coraggiosi al punto da leggere “Venti di Protesta”, perchè Noam Chomsky ci parla della situazione politica mondiale di oggi (non di ieri) ed è un libro intriso di urgenza.
“Il Cliente”
è un’avvincente pellicola del 1994, diretta da Joel Schumacher e interpretata
da Susan Sarandon, Tommy Lee Jones,
Brad Renfro e Mary-Louise Parker, tratta dall’omonimo romanzo di John Grisham.
Il
protagonista della storia è Mark, un ragazzino ribelle che, a soli undici anni,
conduce un’esistenza particolarmente difficile, cercando di essere un punto di
riferimento per il fratellino più piccolo e di dare meno preoccupazioni possibile
alla giovanissima madre, sola e con un lavoro precario. Un pomeriggio i due
fratelli assistono casualmente al suicidio di un avvocato legato alla mafia
statunitense che confida a Mark dove si trova il cadavere di un senatore da
poco ucciso e la loro vita cambierà per sempre. Mentre il fratellino è ricoverato
in ospedale a causa dello shock e sua madre è assalita dai giornalisti, Mark,
messo alle strette dall’FBI, che vuole conoscere tutte le informazioni in suo
possesso, decide di rivolgersi a Reggie Love, un’avvocatessa coraggiosa, dal
passato difficile, che non ha nessuna intenzione di lasciare in balia delle
trame, non sempre trasparenti, della legge, un cliente così speciale come Mark.
Lasciando
da parte la trama legal-thriller per
lo sviluppo della quale Grisham e Schumacher dimostrano di essere maestri,
ciascuno nel proprio ruolo, questa pellicola offre numerosi spunti di riflessione
sulla figura del “cliente” a tutto tondo, applicabili a molteplici e variegati
contesti, sia in ambito aziendale, sia in ambito imprenditoriale.
Il
piccolo, ma estremamente intelligente, Mark, infatti, può essere l’emblema del cliente tipo, difficile e sospettoso, e
il rapporto di fiducia che l’avvocatessa Love riesce a stringere con lui,
nonostante le difficoltà e il pericolo che entrambi corrono, ha un valore
paradigmatico, dimostrando che non tutte le dinamiche che riguardano i clienti
sono di natura prettamente economica.
Qualsiasi
cliente, infatti, si trova in una posizione di forza, in quanto datore di un
generico potere di acquisto, ma, nello stesso tempo, può trovarsi in una
posizione di debolezza. Lo stesso Mark, quando si rivolge a Reggie Love, non è
pienamente consapevole dei propri diritti e neanche dei propri bisogni,
circostanza nella quale potrebbe trovarsi un qualsiasi cliente. Il modo
migliore per guadagnare un cliente soddisfatto, che resti affezionato e fedele
nel tempo, è renderlo edotto dei propri diritti, seguendolo passo passo e
consigliandolo su quali siano le sue reali esigenze più profonde che, andando
oltre l’aspetto economico, sono le stesse dell’azienda o dell’imprenditore.
Non
sempre, infatti, il cliente sa cosa desidera realmente, così come, a volte, è
convinto di avere necessità che invece risultano essere secondarie. Ecco,
dunque, che la corretta comunicazione col cliente è alla base di un rapporto di
fiducia profonda e soddisfacente. Mark e Reggie hanno spesso scambi di vedute
colmi di tensione e la capacità dell’avvocatessa di correre rischi pur di fare
gli interessi del proprio cliente che, in ultima istanza, sono anche i suoi,
rende alla perfezione l’ideale rapporto che potrebbe esserci tra cliente e
azienda a tutto tondo.
Il
cliente va difeso e protetto, a costo di correre qualche pericolo. Tuttavia,
anche il cliente commette errori, più o meno consapevolmente, ma, con la giusta
strategia e facendo appello alla fiducia guadagnata assumendosi i giusti
rischi, è possibile condurlo verso le decisioni migliori per tutti.
Pensando alla storia di Mark e Reggie, la quale si prenderà cura di lui come si prendeva cura dei suoi stessi figli, dei quali non ha più la custodia a causa di un passato come alcolista, e cercherà di instaurare anche un rapporto di fiducia con la giovane madre di Mark in difficoltà economiche, si può giungere alla conclusione che un cliente è come un figlio che ha un’altra mamma: è difficile calcolarne il valore e impossibile dargli un prezzo differenti da quello giusto.
“Ricominciare dalla crisi”, a cura di Massimo Orlandi e Paolo Ciampi, edito dalla Romena – Casa Editrice, quinta edizione della collana “Le parole e il silenzio”, è senza dubbio un libro inaspettato.
Inaspettato, prima di tutto perché lo abbiamo incontrato nella foresteria di un monastero ed era stato scelto per altro, invece, leggendolo ci si è rese conto che avrebbe dovuto avere uno spazio in Sistema Generale.
Inaspettato, per ciò che racchiude. In realtà questo libro, è la sintesi di un viaggio fatto di incontri che – nello specifico di questo titolo – sono avvenuti nel 2011 in alcuni dei luoghi più suggestivi del Casentino, permettendo ad un pubblico divenuto sempre più numeroso, di interfacciarsi con – cinque, per la precisione – presenze autorevoli e diverse per sognare con occhi nuovi e ridare slancio al quotidiano.
Inaspettato, per le tematiche affrontate e le personalità con cui si sono svolti gli incontri.
Le riflessioni riportate nel volume sono quattro, non con l’intento di recriminare e replicare talk show già visti che parlassero, indagando, la grande crisi economica di inizio secolo, ma con l’obiettivo di analizzare la possibilità del futuro e dei suoi bisogni, descrivendolo come un ragionevole punto di riferimento, attraverso speranze, valori e idee.
Le personalità che hanno fatto parte di questo viaggio, invece, sono assolutamente diverse tra loro ma decisamente complementari.
Silvia Ronchey, storica bizantinista e docente di filosofia classica e civiltà bizantina all’università di Siena, ha partecipato all’incontro che ha preso il titolo “La storia Siamo Noi”. Pier Luigi Celli, laureato in sociologia, imprenditore e dirigente d’azienda che per molto tempo ha gestito incarichi di direzione delle risorse umane, è stato direttore generale dell’università Luiss Guido Carli ed ha affrontato la “Fame di Futuro”.Vandana Shiva– ecologista, attivista, scienziata e filosofa – e Wolfgang Fasser – musico terapista e fisioterapista, non vedente – hanno invece parlato del “Ritorno alla Terra”.Roberto Mancini, docente di filosofia teoretica all’università di Macerata, ha dato una lettura diversa della crisi, completando il volume con l’ultima sezione intitolata “Più Forti della Crisi”.
“La storia Siamo Noi”
Silvia Ronchey, durante il suo incontro avvenuto nell’aprile del 2011, ha parlato del passato, sicuramente per la sua identità di storica, ma soprattutto perché conoscere la storia non è solo prezioso, ma necessario, essendo l’impalcatura del nostro presente.
Guardare al passato per migliorare il presente, ha un valore provocatorio, ma un fondo di verità. Del resto, non si può ragionare senza considerare che l’esperienza del passato e l’impalcatura del presente – o del futuro – possono reggersi solo su una solida memoria che assicura realtà e consistenza. Studiare il passato, analizzarlo ed elaborarlo nella sua complessità, come dice la Ronchey, è necessario per avere un futuro. Si progredisce attraverso la bellezza della ricerca che è come un cammino, sicuramente faticoso, ma che produce cambiamenti tanto internamente quanto esternamente. Ed anche se l’epoca attuale condiziona la – nostra e personale – ricerca storica, la storia fa il presente e un bravo storico deve comportarsi un po’ come un giudice che in modo obiettivo ascolta e determina l’istruttoria. È indubbio che la storia divenga un veicolo di cambiamento, soprattutto in un periodo come quello di oggi – nel nostro 2019 più che mai – dove la globalizzazione e la velocità delle informazioni ci distraggono, di deviano, ma soprattutto abbassano violentemente la nostra soglia di attenzione facendoci perdere la bellezza di un percorso di apprendimento meditato.
“Fame di Futuro”
Una delle prime domande che si è sentito porre Pier Luigi Celli nel maggio del 2011, è stata quella di uno studente che gli ha chiesto se fosse meglio seguire i propri sogni o se, al contrario, era meglio metterli da parte scegliendo un atteggiamento più pratico e quindi preferire un indirizzo universitario che garantisse un lavoro.
Tanto allora quanto oggi, lo stato d’animo della generazione ricompresa tra il post liceale e il “lavoro stabile”, è ancora di un grigio scuro che non sta bene a chi avrebbe tutte le forze e la voglia di spingere fino in fondo sull’acceleratore dei sogni.
Siamo di fronte a un paese distratto che ha poca cura dei giovani, dei loro bisogni, delle loro necessità e del loro futuro. Siamo di fronte ad una generazione che si sente tradita. E proprio sull’onda di questo tradimento, reiterato aggiungo io, Pier Luigi Celli ha rivolto ai giovani un appello: riprendersi in mano il destino che gli è stato sottratto smontando qualche luogo comune sulla ricerca del lavoro.
I giovani non possono permettersi di demordere ed anzi devono puntare sulle qualità apparentemente poco valutate e valorizzate: la curiosità, l’entusiasmo, le proprie passioni.
Quelli che sono giovani ma ce l’hanno fatta, sono coloro che hanno avuto spazio, quelli che sono stati messi nella condizione di sbagliare e rischiare, perchè un problema dei giovani di oggi è che, se nessuno si prende cura di loro e li aiuta ad ambientarsi nei vari ambienti che vivono e non li sostiene nei progetti che fanno o nelle idee che hanno, non sapranno da che parte andare. E questa responsabilità spetta agli adulti. Celli lo dice chiaramente e senza mezzi termini. Conoscere le persone e parlare con loro significa guardare oltre la radiografia che rappresenta il cv di quella stessa persona e viceversa. È parlando e conoscendo le persone che ci si rende conto della loro storia e delle capacità che lo renderanno adatto o meno al ruolo. È una cosa di una importanza fondamentale. Perchè siamo uomini e donne fatti non solo di razionalità, di sapere e competenze, ma anche di sentimenti e passioni che sono il nostro motore animativo e che concorrono a completare e determinare il nostro modo di essere.
Per fare il manager, ci ricorda Celli, o qualsiasi ruolo per il quale si immagini che ci sia qualcuno al di sotto della nostra catena operativa, c’è bisogno di una testa larga, generosa, pensante. È necessario un pensiero critico che analizzi le cose prima di farle e che se ne chieda il senso. Invece, siamo stati costretti a sviluppare un pensiero altamente operativo, tecnico, immediato e produttivo che ci porta a fare le cose meccanicamente e senza chiederci il senso.
E ancora, nella discussione sono emersi altri due concetti che oggi affrontiamo sempre di più perché ci rendiamo conto che vengono meno e, invece, potrebbero diventare la soluzione per superare questa crisi sistemica nella quale ormai ci siamo impantanati: i “cervelli” che scappano altrove e lo spirito di gruppo, che si intrecciano tra loro.
La fuga dei cervelli, il problema importante non è che li perdiamo e basta, è che per quanto possano scapparne dall’Italia non ne importiamo abbastanza per creare quell’auspicabile scambio e ricambio culturale, perchè fondamentalmente, perdiamo i migliori che non trovano soddisfazione – non solo economica – nel loro paese.
Allora, una soluzione per affrontare la crisi, secondo Celli, sarebbe quella di alimentare un numero di persone sempre maggiore che vogliono provare a superarla questa crisi, dove alcuni falliranno, altri riusciranno, altri ancora daranno vita a cose diverse. Ma questo sarà possibile solo quando si riuscirà ad insegnare ai nostri ragazzi a essere imprenditori di se stessi e a porsi meglio sul mercato, riuscendo a negoziare la propria competenza.
D’altronde, se si mettono i ragazzi nella condizione di poter fare qualcosa, loro lo fanno e lo sanno anche fare bene, ma bisogna assumersi il rischio di lasciarli fare.
In gruppo è meglio, perchè ognuno ha qualcosa di diverso da mettere in pratica e ci si completa a vicenda. Ma il mondo del lavoro è cambiato tantissimo e la prima difficoltà è quella di prendere coscienza e consapevolezza che da soli non si va lontano, al contrario e a qualsiasi livello la propensione a giocarsi la propria vita in solitaria è cresciuta tantissimo.
“Ritorno alla Terra”
Due percorsi estremamente differenti collegano queste due personalità così simili: Vandana Shiva ecologista, attivista, scienziata e filosofa, icona mondiale delle battaglie per la difesa della biodiversità e Wolfgang Fasser musico terapista e fisioterapista, non vedente, che predilige uno stile di vita essenziale a cavallo tra la toscana e il Lesotho dove pratica la professione in favore dei più deboli. Ciò che li accomuna è il sentimento che la terra è il “luogo dove la vita ci parla” e l’idea che per affrontare i guasti del presente, non serve chissà quale medicina ma un atteggiamento ben preciso: sgonfiare l’ego dell’uomo, chiedendogli di abbassarsi quanto basta per tornare a sentire la voce della terra.
Per noi, questi concetti potrebbero sembrare completamente lontani da qualsiasi logica. E invece è il contrario. Hanno ragione quando sostengono che sia necessario creare una cultura alternativa, fatta di rispetto per noi e per il futuro di chi verrà, della natura e del nostro pianeta, per la biodiversità. Vandana Shiva ci ricorda che dovremmo prendere anche un po’ esempio da questa biodiversità che è intelligente, creativa e che fa moltissimo per noi. Come dovremmo abbandonare l’illusione della crescita economica legata alla realtà dell’abbondanza che esiste nella normale concezione di tutti.
Hanno ragione entrambe quando dicono che la natura è oramai vista solo come una fonte materiale da sfruttare per interessi economici e non come colei che produce la capacità creativa degli esseri umani. La natura è la prima grande maestra che ci insegna, ci fa capire chi siamo ed è tanto piena di analogie con ogni singolo individuo che, solo mettendoci in suo ascolto, potremmo capire semplicemente la vita aiutando le persone a riscoprire la loro capacità di ascolto.
Come in natura la diversità è una ricchezza nelle relazioni, la stessa cosa dovrebbe essere tra i suoi abitanti, riuscendo a rivisitare e riesaminare tutte le idee della ricchezza, dell’economia, delle comunità e delle relazioni, abbandonando l’ossessione per i soldi che oscura la vita di comunità e le sue relazioni.
“Più Forti della Crisi”
Roberto Mancini è un filosofo per il quale la filosofia significa saper leggere le logiche di costruzione dell’esperienza della vita individuale e della società. È il tentativo di decifrare le logiche di costruzione dell’esperienza, permette di non essere dominati da logiche che non si conoscono e di cui nemmeno ci si rende conto. Per quanto possa sembrare assurdo, l’essere umano è in continuo movimento e la filosofia è concreta, è coltivazione della sensibilità e della lucidità necessaria in questo movimento perpetuo.
La crisi della nostra società, non è una crisi sorta solo sull’onda del crack delle banche e dei mutui americani, è la rappresentazione di un sistema che non ha – più – i fondamenti di giustizia e che quindi produce, vive e fabbrica crisi a ciclo continuo. Parliamo di un sistema che ha dimenticato completamente il senso, il significato e il valore del fattore umano – ricordate ? – dove le persone non sono più tali ma diventano, a seconda dei casi, risorse o esuberi. Un sistema che ha messo da parte qualsiasi modo di intendere la vita che non sia legato all’economia, che ha dimenticato la differenza tra un fine da raggiungere e uno strumento per raggiungere il fine, un sistema che ha dimenticato di riconoscere la dignità delle persone, delle relazioni del mondo naturale.
E siccome le crisi sono tutte senza memoria, il primo passo dovrebbe essere proprio quello di recuperare la memoria delle crisi che nel passato si sono verificate, perchè siamo pronti a cercare le soluzioni alle crisi, ma dimentichiamo sempre di analizzare le cause che le hanno generate. Abbiamo perso il senso della bellezza del radicamento etico e dell’orientamento interculturale, nel nostro agire e nel nostro essere.
Roberto Mancini durante il suo incontro avvenuto nell’ottobre del 2011, ha citato sorprendentemente Simone Weil, quando ha detto “una civiltà fondata su una spiritualità del lavoro sarebbe il grado più elevato di radicamento dell’uomo nell’universo”.
Abbiamo dimenticato uno dei bisogni ancestrali dell’uomo, quello di poter convivere in un ordine armonico interiore, sociale, civile, con la natura, perchè l’uomo e la donna sono fatti di relazione ma ci siamo lasciati convincere che invece siano solo re(l)azione.
Nell’armonia si sviluppa la libertà ed è un dato di fatto che intelligenza della speranza, metodo e l’integrità delle persone, sono tre elementi fondamentali e ricorrenti che troppo spesso vengono messi da parte. Bisognerebbe uscire dalla logica di isolamento e competizione, risvegliando in noi la corresponsabilità del mondo comune e per la cura dell’integrità delle persone.
Ciò che ci vuole, è il cambiamento ed è un processo che richiede diversi passaggi.
Primo, il risveglio: riconoscendo che le logiche dominanti non sono adeguate, il mondo sarà cambiato quando le persone si renderanno conto che saranno felici e si prenderanno cura degli altri.
Secondo, la creazione di zone franche dove non contano più le cose materiali ma si da vero valore e peso alle persone.
Terzo, cambiare la nostra esistenza quotidiana, recuperando il buon funzionamento della vita sociale, l’educazione, l’economia, la politica e l’informazione di un tempo.
Il cambiamento è ostacolato dallo sguardo e dal cuore chiuso con cui ogni mattina affrontiamo quel pezzo di vita. Ognuno di noi ha una serie di doveri, dare peso e valore alla nostra libertà, al nostro percoso, alla nostra dignità e non lasciare, mi permetto di concludere, che il primo sciacallo incontrato sulla via ci convinca di tutt’altro, riuscendo magari anche a farci cambiare idea, atteggiamenti e convinzioni.
E di questi sciacalli ne sono piene le pagine di giornale, i telegiornali e le strade.
“Questo
libro è stato ideato come una cassetta degli attrezzi per supportare gli
imprenditori alle prime armi – e imprenditori più esperti – a costruire imprese
di successo basate su prodotti innovativi. Anche imprenditori seriali con
consolidata esperienza in un campo o in un settore specifico, possono
riconoscere in questi 24 passi una guida utile per portare in maniera più
efficace i prodotti sul mercato.
Come
imprenditore, mi sono state utili molte fonti, dai libri ai mentor, e
soprattutto la mia esperienza diretta. Tuttavia, non ne ho ancora trovata una
unica in grado di unire diversi aspetti in modo esaustivo”.
Siccome
nessun manuale prima d’ora ha mai messo insieme teoria e pratica, studio ed
esperienza, in modo totalmente esauriente, il carismatico imprenditore Bill Aulet, Direttore Generale del
Martin Trust Center for MIT Entrepreneurship presso il MIT e docente alla Sloan
School Management del MIT, ha deciso di scrivere un libro che è stato di grande
ispirazione per molti manager in tutto il mondo, “La disciplina dell’imprenditore”, edito in Italia da Franco Angeli.
Questo
testo, divenuto un bestseller internazionale tradotto in oltre venti lingue, è
costituito da quelli che Bill Aulet definisce i 24 passi necessari per creare una start up di successo, seguendo le
orme dei migliori, ma anche imparando
a percorrere, con coraggio e aspettativa, strade mai battute prima.
Come
in un gioco dell’oca 2.0, che non è
affatto un “gioco”, l’autore spiega, con stile scorrevole e metodo intuitivo, il
“viaggio” che dovrebbe compiere ciascun potenziale imprenditore e come
l’imprenditorialità possa essere insegnata e, quindi, imparata da chiunque, con
l’umiltà di chi ha profonda fiducia nei propri mezzi, ma anche con la
consapevolezza che persino il “fiuto” migliore vada affinato e tenuto in
allenamento grazie allo studio e all’esperienza sul campo.
I
primi 24 passi da fare per dare vita a un’attività e gestirla con successo sono
suddivisi da Bill Aulet in sei tematiche principali che rispondo ad altrettante
domande fondamentali per iniziare col piede giusto:
Chi è il tuo cliente?
Cosa puoi fare per il tuo cliente?
Come acquista il cliente il tuo prodotto?
Come realizzi profitto con il tuo prodotto?
Come progetti e costruisci il tuo prodotto?
Come puoi espandere la tua impresa?
Quesiti
solo apparentemente semplici, ma ai quali è necessario impostare risposte il
più solide e concrete possibile fin dal principio per non avere falle nel
proprio progetto. Ogni tema è costituito da un determinato numero di passi da
compiere prima di affrontare il tema successivo e ciascun passo è sviscerato
dall’autore anche grazie all’uso di esempi pratici, schemi, tabelle, schede
riepilogative e fumetti simpatici ed esplicativi.
Alla
fine dei 24 passi del percorso l’imprenditore sarà riuscito a focalizzare
meglio e, quindi, a valorizzare la propria idea imprenditoriale, individuando la
giusta opportunità di mercato da cogliere e coniugando al meglio gli aspetti
prettamente economici e produttivi con le risorse umane che ha a disposizione.
L’efficienza, sia nella gestione, sia nella costruzione del prodotto e nella
sua promozione a favore del target di clienti, sono gli obiettivi da raggiungere
che metteranno in moto il circolo virtuoso che dovrebbe caratterizzare la vita
di ciascun imprenditore, tanto per il suo ruolo nella società, quanto per la
sua personale soddisfazione, tra empatia e competitività. Un imprenditore disciplinato è un imprenditore che,
oltre a costruire un’attività per se stesso, ne comprende e ne valorizza ogni
potenzialità anche a favore degli altri, che siano clienti o competitor, in
accordo con i valori di un più alto sistema sociale che dovrebbe essere per
tutti il terreno fertile su cui seminare il proprio futuro e raccoglierne i frutti.
“Mio padre fu indotto a
scrivere ‘Cento pagine per l’avvenire’ dalla profonda convinzione che l’umanità
si dirigesse verso un disastro e che per evitare questa catastrofe era
necessario che il mondo cambiasse rotta immediatamente. Da ottimista quale era,
mio padre nutriva la speranza che il suo libro sarebbe stato un potente
campanello d’allarme per il mondo”.
Con
queste parole Roberto Peccei apre la prefazione che introduce la nuova edizione
dell’ultimo libro scritto da suo padre, Aurelio
Peccei, dal titolo “Centro pagine
per l’avvenire”, recentemente ripubblicato da Giunti, assieme a Slow Food
Editore e all’Università di Scienze
Gastronomiche di Pollenzo, all’interno della collana Terrafutura. Questo testo fu scritto e venne pubblicato per la
prima volta nel 1981 da Aurelio Peccei, ex partigiano tra i protagonisti della
ricostruzione del dopoguerra italiano e figura di profonda influenza nel mondo
scientifico e imprenditoriale a livello internazionale per aver contribuito a
fondere culture e realtà solo all’apparenza inconciliabili. Si tratta di un
saggio ‘atipico’, che ha il pregio di aver mantenuto intatta tutta la sua
attualità e la potenza del pensiero del suo autore, precursore e pioniere, che
ha saputo prevedere la gravità della crisi che oggi ci attanaglia e anche
suggerire un cammino per superarla.
Secondo
Peccei, dal dopoguerra in poi, la rincorsa verso il progresso e la crescita, in
primo luogo economica, hanno allargato il campo visivo dell’uomo,
accorciandone, però, in un certo senso, l’orizzonte e facendo sì che, nell’arco
della propria vita, un singolo essere umano sia testimone oculare di
stravolgimenti che, in epoche passate, erano solo immaginabili. Se tutto ciò,
da un lato, ha permesso un’evoluzione sempre più veloce, dall’altro, ha
provocato un depauperamento delle risorse naturali e dell’ambiente che ci sta
decisamente sfuggendo di mano, facendo in modo che lo sviluppo esponenziale
delle risorse umane e antropiche sia direttamente proporzionale alla
progressiva distruzione del nostro habitat. E saremo tutti d’accordo nel constatare
che non può esistere umanità senza un ecosistema idoneo alla sua crescita. L’unico
modo per invertire questa tendenza è comprendere fino in fondo quanto l’unione
del genere umano, in tutti i continenti e i popoli, ricchi o poveri che siano, sia
importante e addirittura fondamentale. Peccei vedeva nella collaborazione a
livello mondiale tra le varie nazioni, la quale mirasse a un’uguaglianza non
solo formale, ma sostanziale, l’unica imprescindibile strategia in grado di
salvare il nostro mondo dalla distruzione. Risorse umane e risorse naturali,
dunque, dovevano tornare a camminare insieme, procedendo di pari passo. Negli
anni Ottanta del secolo scorso in pochi ascoltarono il grido di Peccei, che
oggi suona come un’insolita profezia, per la quale, però, lo stesso autore ci
ha indicato la via affinché essa non si realizzi: la cooperazione di tutti per
una vita più sostenibile ed egualitaria.
In
un viaggio tra Storia e Scienza e con l’aiuto di tavole che spiegano
dettagliatamente molti aspetti del nostro cammino evolutivo, Aurelio Peccei
guida il lettore in una riflessione su se stesso e sul proprio modo di vivere,
aiutandolo a comprendere che , quanto mai oggi, in pieno 2019, abbiamo bisogno
di una profonda rivoluzione culturale e “umana” che ci porti verso la
consapevolezza della responsabilità di ciascuno di noi, sia come singolo, sia
come componente di un gruppo, come un’azienda o una società, nei confronti del
nostro pianeta e, quindi, del nostro futuro.
In particolare Peccei attribuisce grande importanza alle nuove generazioni e alla loro capacità di afferrare l’avvenire anche solo grazie a una particolare intuizione e apertura mentale. È in questo spirito di innovazione che l’intera umanità dovrebbe avere massima fiducia, distaccandosi da interessi che la danneggiano. Secondo Peccei, tra le esigenze fondamentali dell’uomo c’è quella di “imparare a governare l’immenso conglomerato di società e di sistemi, sempre più connessi e interconnessi, che formano il nostro mondo”. E per farlo c’è un solo modo: imparare e governare noi stessi attraverso una “profonda evoluzione culturale”.
Mettere in piedi una truffa è complicato e ardito, ma se il truffatore è tale Marcello, con il volto dello spumeggiante Marco Giallini, sembra una cosa semplicissima, oltre che divertentissima.
David, interpretato da un bravissimo Edoardo Leo, invece è un ragazzo di trentasei anni di questi tempi, con tanti sogni nel cassetto che soccombono alla massima aspirazione possibile: uno stipendio fisso da mille e settecento euro, una donna al suo fianco e una casa propria.
Per arrivare a quella che sembrerebbe poter essere la sua realizzazione, però, deve far colpo sul proprio presidente con la presentazione del nuovo prodotto innovativo dell’azienda per la quale lavora. Un prodotto talmente innovativo da essere diventato il prossimo obiettivo di un furto internazionale, a cui realmente nessuno crede, salvo il presidente dell’azienda per cui David lavora.
Per una serie di vicende surreali, David diventa vittima di una banda di truffatori proprio il giorno prima della grande presentazione al mondo, perdendo tutto. Casa, compagna, soldi sul conto e lavoro sfumano in un secondo, anzi a dirla tutta, nel tempo necessario a smaltire il sonnifero.
Da quel momento si cimenta in una ricerca spasmodica della banda che lo ha truffato con la sola idea di vendicarsi, fino a quando, ritrovato Marcello e le sue complici, non decide di seguirli per non perdere l’occasione di riavere il suo risarcimento.
David, sognatore e persona semplice – quasi uno sfigato -, incastrato in una vita che non gli piace, da vittima assapora un modo di vivere completamente opposto alla realtà e si fa trasportare in questo gioco a quattro, diventando esso stesso un truffatore e fornendo alla banda il colpo da due milioni di euro a cui puntavano fin dall’inizio e che, guarda caso, è proprio il prodotto dell’azienda per la quale David lavorava.
Commedy action di come se ne vedono davvero poche in Italia, questo film del 2015 diretto da Francesco Miccichè e Fabio Bonifacci, distribuito dalla Warner Bros. Pictures, ha sfiorato i due miolioni di incasso nella prima settimana di programmazione al cinema e ricevuto la candidatura ai David di Donatello come miglior film esordiente.
Un film con tante situazioni al limite del paradossale, alcune delle quali realmente successe, dove Marco Giallini ed Edoardo Leo, sono la fortuna di questo film, tanto bravi nella commedia quanto nell’impersonare il senso vero della storia a cavallo tra il fidarsi e il truffare.
La pellicola, divertente fino alla lacrime e con un cast davvero eccellente, però ha alla base un tema molto delicato: la fiducia.
David altro non è che la rappresentazione dei lavoratori giovani e precari di oggi, sognatori e di cui è facile farne beffa. Quelli che a un certo punto della propria vita, pronti a tutto pur di trovare la loro svolta, sono disposti a fidarsi degli altri diventando a loro insaputa marionette nelle mani di chi promette quel cambiamento tanto agogniato.
Marcello è invece un artista, un compositore della realtà che vive la magia dell’arte (del truffare) in modo poetico ed è un creatore di sogni. Quegli stessi sogni che David ha sempre accantonato in funzione di altro, che diventeranno la sua trappola e che, nella seconda parte della storia, gli faranno assaporare l’illusione di vivere proprio come avrebbe voluto, lui che ha sempre sognato di fare lo scrittore e vivere così come se fosse in un romanzo.
Il truffatore di questo film, invece, regala emozioni alle persone che diventeranno leggende – vedi la scena del (falso) provino al ristorante più paradossale che altro – , è una persona piena di inventiva, si guadagna da vivere in modo decisamente eccentrico, regalando fantasia agli altri ma tenendosi stretti i soldi, rappresentando così la falsità e l’egoismo che spesso si ritrovano nel mondo del lavoro.
Il personaggio di Marcello regala nei dialoghi del film delle vere chicche, dimostrando come il truffato debba supplicare (inconsapevolmente) per avere la sua truffa, credendo invece di essere sul punto di realizzare i propri sogni.
Quante volte, anche inconsapevolmente, ci siamo ritrovati in situazioni in cui, pur di arrivare al nostro obiettivo, abbiamo dato il massimo ricevendone in cambio solo un pugno di mosche? O peggio, non è mai capitato a nessuno di voi di impegnarsi strenuamente in qualcosa in cui si credeva davvero, ricevere una pacca sulle spalle o, addirittura, un rifiuto, vedendo poi quella nostra stessa idea messa in bocca ad altri?
Beh, il film rappresenta nel suo piccolo tante situazioni in cui ognuno di noi potrebbe trovarsi o, per sfortuna, ha già testato sulla propria pelle con la differenza che questa storia ci ha fatto ridere, ma nella realtà, sempre più spesso, la fiducia che riponiamo negli altri può essere strumentalizzata.
A seconda poi di dove ci si posiziona in questo fantomatico gioco con gli altri, quello che resta può essere la sensazione di “essere stati fregati” o quella di averne fatto un profitto per sè sulle spalle di qualcun altro.
Insomma, dalla fiducia alla truffa è ‘n attimo e non è detto che dopo si riesca ancora a ridere.
È senza confini e senza guida. O meglio,
troppo spesso va dove lo porta il vento. A volte si infervora come quello che
prese la Bastiglia, altre si lascia chiudere gli occhi come in balia di una mano
invisibile e, da quando ha la possibilità di incontrarsi e confrontarsi su
piazze virtuali efficaci e spietate come i Social Network, è meglio cercare di
farselo amico. Stiamo parlando del cosiddetto “Popolo di Internet”, una nuova nazionalità transnazionale, senza
cittadinanza e senza passaporto, ma anche senza regole, di cui tutti facciamo
parte, sia come esseri umani, sia come lavoratori.
La disavventura in cui si trovano invischiati Claudio e Anna, protagonisti del film “Che vuoi che sia”, diretto da Edoardo Leo, che veste anche i panni dello stesso Claudio, rappresenta alla perfezione il predominio e, allo stesso tempo, la dipendenza di tutti noi da questo strano popolo virtuale, sia nella vita di tutti i giorni, sia per la realizzazione in ambito lavorativo. Con una commedia esilarante, talvolta ai limiti del grottesco, Edoardo Leo e Anna foglietta rappresentano una coppia di giovani italiani come tante, incastrate tra la volontà di metter su famiglia con tutti i crismi e il desiderio di lavorare in autonomia, realizzando progetti per i quali hanno studiato e fatto sacrifici. Mentre Anna è un’insegnante (precaria, che ve lo dico a fare) Claudio è un ingegnere informatico che conosce bene i computer e le dinamiche della rete ed è convinto di dominarle con successo. Ma, quando in seguito a un colloquio di lavoro, gli viene proposto di dare il via a un crowdfunding per verificare quanto il suo progetto risponda alle esigenze dei consumatori, si trova disorientato dal poco riscontro che trova. La sua idea è creare un’App, Lavoro Advisor, che permetta di mettere in comunicazione domanda e offerta di lavoro col semplice uso dello smartphone, un progetto lodevole, ma che sembra non bucare lo schermo del Pc, come si dice, per cui ben pochi sono disposti a dargli fiducia e, di conseguenza, fondi volontari.
Deluso e dispiaciuto, dopo essersi
ubriacato a una festa assieme ad Anna, Claudio registra un video che mette
online, nel quale sfida apertamente il popolo della Rete: se inizierà ad
accumulare abbastanza soldi, oltre a realizzare il suo progetto di lavoro, farà
un video hard assieme all’ignara Anna e lo metterà sul Web. Quella che,
complice l’alcol, sembrava solo una goliardata da adolescenti, la mattina dopo
è già diventata virale e l’interesse
e la curiosità del popolo di Internet si scatena. In molti iniziano a donare
cifre sempre più alte e anche l’attenzione degli altri Media, in primo luogo
della Televisione, non fa altro che ingigantire le conseguenze di ciò che
Claudio ha fatto. Anna, inizialmente sconvolta, viene sospesa da scuola, ma poi
finisce per convincersi che, pur di realizzare il sogno di una stabilità
economica e anche di una famiglia, è disposta a dare in pasto al pubblico un
episodio della propria intimità con Claudio, anch’egli sempre più deciso a non
tirarsi indietro, fino a un sorprendente epilogo.
Il quesito di fondo, filo conduttore di
tutta la pellicola impregnata di un umorismo e di un senso pratico
squisitamente italiani, è fin dove siamo disposti a spingerci per realizzarci,
sia nella vita lavorativa, sia in quella privata? In tempo di crisi e
precarietà economica, si sa quanto questi aspetti dell’esistenza siano binari
che, affinché il treno della vita non deragli, devono correre parallelamente
senza intoppi: senza incontrarsi, ma anche senza scontrarsi irrimediabilmente, come probabilmente accade a Claudio e
Anna.
Per quanto riguarda il mondo del lavoro, oltre al senso di instabilità che il nostro cinema italiano è ormai maestro nel raccontare, anche con un sorriso amaro, è interessante analizzare lo spirito critico con cui si illustrano metodologie che all’estero hanno permesso a molti imprenditori senza mezzi di realizzare i propri sogni, creando realtà lavorative oggi solide. Crowdfunding, Social Network e Web in generale, infatti, più che un luogo di incontro per essere sostenuti e aiutati anche a livello economico, per mettere in piedi un progetto lavorativo alla portata di tutti, sembrano mostri mitologici interessati solo al sesso e al pettegolezzo che chiedono uno scotto da pagare decisamente in contrasto con la dignità dell’individuo, sottolineando quanto il nostro Paese sia impreparato e, in un certo senso, indifferente a certe dinamiche di democrazia e meritocrazia 3.0.
Fortunatamente, a volte, sia per quanto riguarda la nostra vita privata, sia per quanto riguarda le nostre ambizioni lavorative, ci pensa le realtà a spezzare le catene del virtuale, grazie alle sue imprevedibili leggi non scritte e al ruolo imprescindibile del nostro libero arbitrio. Anche perché ciò che in Rete è virale oggi, domani (forse) sarà dimenticato grazie a qualcosa di ancora più virale…
“Io proprio vorrei che gli uomini responsabili della cultura e dell’insegnamento ricordassero che noi italiani dobbiamo toglierci di dosso questo complesso di inferiorità che ci hanno insegnato, ovvero che gli italiani sono bravi letterati, bravi poeti, bravi cantanti, bravi suonatori di chitarra, brava gente, ma non hanno le capacità della grande organizzazione industriale. Ricordatevi, amici di altri paesi: sono le cose che hanno fatto credere a noi e che ora insegnano anche a voi. Tutto ciò è falso e noi ne siamo un esempio. Dovete avere fiducia in voi stessi, nelle vostre possibilità, nel vostro domani; dovete formarvelo da soli questo vostro domani. Ma per fare questo è necessario studiare, imparare, conoscere i problemi”.
Queste parole, ancora così attuali, sono state pronunciate nel 1961 da Enrico Mattei, uno dei più importanti industriali italiani del secondo dopoguerra, partigiano e fondatore dell’Eni nel 1953, in occasione dell’apertura dell’anno accademico della Scuola di studi superiori di idrocarburi di San Donato Milanese. Questo e molti altri famosi discorsi dell’imprenditore marchigiano sono stati raccolti nel libro che prende proprio il titolo di “Il complesso di inferiorità”, Edizioni di Comunità ed è il terzo volume di Humana Civilitas, una collana che mette insieme una serie di brevi testi che testimoniano il pensiero di grandi personaggi, donne e uomini, che hanno reso ricca la Storia del nostro Paese nel secolo scorso.
Di famiglia semplice e con un passato da operaio, dopo aver frequentato con profitto l’università, Mattei ricopre un ruolo importante nelle fila partigiane a partire dal 1943. Quando, dieci anni dopo, fonderà l’Eni, Ente Nazionale Idrocarburi, avrà fin da subito l’intenzione di mettere in atto un modello innovativo di cooperazione energetica tra Stati, stringendo accordi che hanno minato il predominio delle cosiddette Sette Sorelle, le più note e forti compagnie petrolifere angloamericane. Appassionato di arte e attento alla formazione e alla ricerca di sempre nuove forme di energia, il lavoro di Enrico Mattei si è interrotto bruscamente quando è rimasto ucciso il 27 ottobre 1962 in un incidente aereo, ma il suo approccio rivoluzionario è ancora vivo nel ricordo di chi, negli anni successivi e fino ad oggi ha cercato di seguire le sue orme e il suo esempio, e lo dimostra l’attualità dei suoi discorsi.
Al di là delle posizioni politiche e delle mosse imprenditoriali, ciò che colpisce è la volontà di riscatto che l’industriale cerca di comunicare con le sue parole di incoraggiamento e di lode verso il popolo italiano, da nord a sud, spingendosi anche oltre i nostri confini, verso l’Africa, visti i rapporti intensi legati all’uso delle materie prime necessarie allo sfruttamento dell’energia.
I concetti di dignità, collaborazione e affrancamento, sono, secondo Mattei, valori che accomunano i nostri popoli, entrambi sottovalutati sul mercato e, spesso, anche sul piano politico internazionale. L’unico modo per uscire dalla spirale dello sfruttamento è fare dell’autonomia e della fiducia verso il futuro una dote su cui lavorare concretamente attraverso il confronto. A tal proposito la preparazione, lo studio e la ricerca sono elementi fondamentali come i mattoni per costruire un futuro migliore, anche oggi.
Mai come in questo periodo storico, in tutto il mondo occidentale, il concetto di futuro e, soprattutto, la sua percezione, sono mutati a tal punto, da stravolgerne ogni parametro.
Marc Augé, antropologo francese, africanista di formazione, è stato precursore e, in un certo senso, quasi premonitore di questa rivoluzione che sembra andare oltre il tempo e lo spazio, in particolare col suo testo “Che fine ha fatto il futuro?”, uscito in Italia dieci anni fa per la Casa Editrice Eléuthera.
Le riflessioni che ci ha suggerito questo testo, a tratti cinico, a tratti lirico, a tratti estremamente tecnico, pur nel suo stile scorrevole, ma anche complesso, visti i tanti riferimenti storici, artistici e filosofici, non riguardano solo il concetto di futuro, ma anche quelli di progresso e di economia che, come i due carabinieri che tengono stretto il Pinocchio di Collodi, hanno catturato, in un certo senso, le nostre naturali speranze verso il futuro stesso. Ben prima che iniziasse questa crisi economica che ancora ci attanaglia tutti e ci ha portato alla recessione, Augé ha fatto riflessioni profonde sulla globalizzazione e sugli stravolgimenti economici, soprattutto nel mercato del lavoro e nella sua percezione da parte dei cittadini, da un lato sempre più proiettati verso l’aspirazione ad una ‘cittadinanza mondiale’, dall’altro, forse, incapaci di sostenerne le molteplici difficoltà e la necessaria tolleranza. Per quanto riguarda il concetto di progresso, soprattutto da trenta o quaranta anni a questa parte, l’ingresso a gamba testa di tecnologie sempre più avanzate, sia nella nostra vita quotidiana, sia nei nostri luoghi di lavoro, ha causato un terremoto nella nostra percezione emotiva dell’esistenza, imprigionandoci in un immobile presente per cui è difficile, da un lato ricordare il passato (anche quello più recente) imparando da esso, dall’altro avere fiducia in un futuro migliore, avendo speranza, ma anche volontà di costruirlo adeguatamente.
Come mai questo oggi smemorato e cinico ci possiede a tal punto, si domanda Augé? Viaggiando attraverso il tempo e lo spazio, ma anche attraverso culture e popoli, luoghi e nonluoghi, come li definisce l’autore stesso, egli traccia possibili “cure” a questa “malattia” del nontempo che, come nell’effetto domino, potrebbero trovare efficacia in ogni aspetto della nostra vita, dalle relazioni, ai posti di lavoro, passando per la razionale capacità di affrancarci con spirito critico dai nostri modelli di riferimento creandone di nuovi per le future generazioni. Modelli che abbiano forti radici nel passato e rami rigogliosi, proiettati verso l’orizzonte futuro.
Una delle speranze che suggerisce Augé sta nell’educazione e nella scuola, il più possibile democratica e accessibile a tutti, in grado di formare adulti, ma anche professionisti ed esperti capaci di far comprendere a tutti l’importanza dell’eguaglianza, soprattutto nella comunicazione, anche politica.
“La vera democrazia passa per una chiara definizione delle relazioni egualitarie tra tutti gli individui, tra tutti gli uni, chiunque siano, e tutti gli altri, chiunque siano. Oggi ne siamo ancora bel lontani. Ed è questa la ragione per la quale gli appelli alla violenza, quale che sia l’ideologia che li ispira, avranno sempre un’eco tra i più sprovveduti. Così non è vietato all’antropologo, che cerca di osservare ciò che è, suggerire ciò che potrebbe essere se fosse restituita una finalità al linguaggio politico e se si prendesse finalmente alla lettera l’ideale spesso proclamato dall’istruzione e dalla scienza per tutti. Bisogna pensare al plurale, certo senza dimenticare che non è l’individuo che è al servizio della cultura, ma sono le culture che stanno al servizio dell’individuo”.
Alessandra Rinaldi
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