“Intelligenza Emotiva” di Daniel Goleman: un nuovo linguaggio delle emozioni

Di Daniel Goleman, giornalista americano classe 1946, psicologo specializzato nello sviluppo della personalità – materia di cui è stato anche professore ad Harvard -, scrittore di temi altisonanti quali la neurologia e le scienze comportamentali per il New York Times e con all’attivo una intera collana dedicata all’intelligenza emotiva e sociale, alla creatività e alla leadership, all’empatia e all’emotività, alle forze che compongono e costituiscono le cose e le persone senza scadere mai nel trascendentale incomprensibile, avevamo già recensito “Leadership Emotiva” qualche tempo fa.

Oggi aggiungiamo un nuovo tassello parlandovi di un altro suo libro, divenuto best seller e strumento di formazione trasversale sia per area geografica che per categorie professionali.
“Intelligenza Emotiva” edito dalla Best Bur è un volume scritto nel 1995 e pubblicato in America nello stesso anno che, dopo aver travalicato i confini nazionali e nel giro di un anno essere stato pubblicato praticamente ovunque, è rimasto profondamente attuale.

Scritto quando  la società civile americana viveva una devastante crisi sociale, con aumento della frequenza dei crimini violenti, dei suicidi e dell’abuso di droghe che trasversalmente coinvolgeva uomini donne giovani e adulti, questo scrittore ha messo nero su bianco quello che oggi, nonostante siano passati tanti anni, può essere definito un ottimo manuale per guarire (anche) quei mali sociali, prestando una maggiore attenzione alla competenza sociale ed emozionale delle persone.

Il suo enorme successo è stato dettato dalla capacità di questo scrittore di enucleare principi molto semplici e attuabili che riguardavano l’alfabetizzazione emozionale e che sono stati offerti strategicamente al mondo scolastico americano per interrompere la deriva sociale che si stava registrando credendo, come  è stato, che insegnando questi “sani principi” agli studenti, ne avrebbe giovato anche la società adulta indirettamente all’inizio e direttamente nel momento in cui quegli stessi studenti sarebbero diventati i nuovi adulti della società.

Per quanto azzardata poteva sembrare questa scelta, nella relatà dei fatti, il programma di alfabetizzazione emozionale diede immediatamente effettivi risultati tangibili e duraturi nel mondo studentesco, riuscendo ad elevare negli studenti la qualità e la capacità di affrontare i  turbamenti, di ascoltare o di concentrarsi, di tenere a freno gli impulsi, di sentirsi responsabili del proprio lavoro o di curare l’apprendimento.

Divenuto un pilastro fondamentale, non solo oltreoceano, del mondo dell’insegnamento – al punto che  è attualmente una delle materie di esame nei percorsi formativi dei docenti – rapidamente si è capito che l’Intelligenza Emotiva avrebbe potuto modificare in meglio anche i settori aziendali e manageriali.

Ebbene, ma se vi chiedessi di definire l’intelligenza emotiva, lo sapreste fare?
Come è stata definita dallo stesso autore l’“Intelligenza Emotiva” è quella particolare forma di intelligenza che ha consentito ai nostri lontani progenitori di sopravvivere in un ambiente ostile e di elaborare le strategie che sono alla base dell’evoluzione umana, e che può aiutare tutti noi ad affrontare un mondo sempre più complesso, violento, difficile da decifrare. L’intelligenza emotiva consente di governare le emozioni e guidarle nelle direzioni più vantaggiose; è la capacità di capire sentimenti degli altri al di là delle parole; spinge alla ricerca di benefici duraturi piuttosto che al soddisfacimento degli appetiti più immediati”.

Stiamo parlando sostanzialmente di un nuovo linguaggio delle emozioni che si può apprendere e perfezionare imparando a coltivare e riconoscere le emozioni proprie e quelle degli altri. È un qualcosa che, nella realtà dei fatti, dovrebbe essere insegnata nei bambini fin da piccoli perchè l’intelligenza emotiva può semplicisiticamente essere ricondotta al concetto elementare del “corretto uso delle emozioni” che rappresentano un fattore determinante anche per il raggiungimento dei successi personali e professionali di ogni persona. La capacità, infatti, di saper utilizzare correttamente le proprie emozioni, sapendole identificare, comprenderle, gestire, è indubbiamente lo strumento fondamentale per affrontare in modo nettamente migliore la propria vita, tanto personale quanto professionale.

Vi siete mai chiesti come le nostre emozioni possano influenzare i nostri percorsi, le nostre reazioni, al punto tale da ostacolarci completamente nella nostra capacità di agire o di decidere lucidamente? Per quanto possa essere difficile da accettare una cosa del genere, è davvero così.

Leggendo questo libro, ogni lettore può portarsi a casa tre grandi lezioni – di cui ovviamente non vi scriverò tutto, altrimenti non sarebbe abbastanza divertente per voi leggere Goleman-.

La prima: “L’autoconsapevolezza – in altre parole la capacità di riconoscere un sentimento nel momento in cui esso si presenta – è la chiave di volta dell’intelligenza emotiva”. Tradotto, l’intelligenza emotiva si basa sull’abilità di essere consapevole di sé stessi ed essere in grado di auto-equilibrarsi. Questo perchè ci sono sotanzialmente due aspetti fondamentali da considerare per essere emotivamente intelligenti: uno è essere consapevole della propria emotività essendo in grado di riconoscere e classificare le proprie emozioni, l’altra è la capacità di autocontrollarsi e regolarsi. Semplice a dirsi, può sembrare anche tautologico, ma se ci pensate è come iniziare a correre una maratona con un paio di infradito ai piedi. Comincereste a correre la maratona di New York con delle ciabatte ai piedi? Necessariamente dovreste cambiare qualcosa, o no?

La seconda: “Le persone competenti sul piano emozionale – quelle che sanno controllare i propri sentimenti, leggere quelli degli altri e trattarli efficacemente – si trovano avvantaggiate in tutti i campi della vita, sia nelle relazioni intime che nel cogliere le regole implicite che portano al successo”. Non è vero come è comunemente creduto che la cosa importate per avere successo nella vita è un quoziente intellettivo altamente performante e fatto di un numero stratosferico, al contrario, il raggiungimento della felicità è direttamente collegato alla propria intelligenza emotiva, questo perchè è in base a come noi gestiamo il nostro sé e mobilitiamo le nostre emozioni positive che ci proiettano verso un obiettivo.

La terza: “Se vuoi migliorare la tua intelligenza emotiva devi allenarti severamente a essere sempre ottimista coltivando il pensiero positivo in tutto quello che fai”.
Insomma, allenandosi duramente su questo aspetto – e su tutti gli altri, sia chiaro – sarà possibile sviluppare quella resilienza che caratterizza le persone dotate di un’elevata intelligenza emotiva.

Le persone emotivamente intelligenti, sono coloro che praticano nella vita di tutti i giorni autocontrollo, entusiasmo, perseveranza e automotivazione, creando un sistema di autoconsapevolezza delle proprie emozioni e del proprio modo di pensare.
L’autoconsapevolezza viene definita dallo stesso Goleman come quella “capacità di motivare sé stessi, persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni, di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione, di modulare i propri stati d’animo, evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare, di essere empatici e di sperare”.

Davvero, reimpostare questi aspetti nella propria vita significa migliorarla drasticamente? Decisamente si. Per ogni aspetto di cui abbiamo parlato, ci sono risvolti estremamente positivi che proviamo a sintetizzare in questo rapidissimo schema.

Alla AUTOCONSAPEVOLEZZA EMOZIONALE corrispondono la  migliore capacità di riconoscere e denominare le nostre emozioni, di comprendere le cause dei sentimenti, di riconoscere la differenza tra sentimenti e azioni.

Dal CONTROLLO DELLE EMOZIONI discendono la sopportazione della frustrazione, il controllo della collera, la capacità di esprimerle, affrontare lo stress, abbassando il senso di solitudine e ansia nei rapporti sociali.

INDIRIZZARE LE EMOZIONI IN SENSO PRODUTTIVO significa condensare un  maggior senso di responsabilità, capacità di concentrarsi sul compito che si ha di fronte e di fare attenzione, avere minor impulsività e maggiore autocontrollo, migliorando i risultati delle proprie prove.

Tutto questo, si condensa nella GESTIONE DEI RAPPORTI, riuscendo  ad avere una capacità di analizzare e comprendere i rapporti, risolvere i conflitti e negoziare i contrasti, acquisendo una maggior sicurezza di sé e nelle proprie capacità di comunicazione, raggiungendo un maggior livello di simpatia e socievolezza, abbassando l’individualismo e aumentando la collaborazione in gruppo, attraverso lo spirito di condivisione, di collaborazione e di disponibilità a rendersi utili agli altri, determinando nella maggior democrazia nel trattare con gli altri.

Insomma, una volta letto questo libro, si è tecnicamente pronti per iniziare questo allenamento e intraprendere la giusta strada verso la nostra felicità! E indubbiamente, verso un nuovo tipo di successo!!

Francesca Tesoro

Sorry we missed you: l’altra faccia della gig economy

Newcastle, Inghilterra. Rick – Kris Hitchen – e Abby Turner – Debbie Honeywood – colpiti come molti dal crollo economico della prima decade del secolo, si ritrovano a svolgere lavori estremamente precari e sottopagati che finiscono per occupargli l’intero giorno e prosciugare tutte le energie. Per non far mancare nulla ai due figli, Sebastian e Liza, ma soprattutto per tornare a credere di poter costruire un futuro per la famiglia e per i ragazzi e  sentirsi finalmente indipendenti, decidono di dare una svolta alla lorao vita.
Abby vende la propria macchina perchè Rick riesca a comprare un furgone che lo renda il padrone del proprio destino, convinti che il sacrificio del momento in due anni gli permetterà di acquistare la loro casa e poter mandare i figli all’università. I risvolti di questa scelta, però, comprometteranno la serenità familiare.

“Sorry We Missed You”, film di Ken Loach sceneggiato in coppia con l’amico Paul Laverty, è uscito nelle sale a gennaio del 2020 dopo essere stato presentato in concorso al Festival di Cannes 2019, dichiarato il Miglior Film Europeo al Festival di San Sebastian ed aver ottenuto una candidatura ai premi Bafta.
É un film crudo e drammatico, non per la storia in sé ma per la capacità di riprodurre esattamente e fedelmente – oltre che con struggente empatia – la storia di molti lavoratori dei giorni d’oggi incastrati nel nuovo precariato travestito da lavoro autonomo.

Questa pellicola fa scorrere sullo schermo una famiglia “ordinaria” con  due genitori compressi letteralmente dai loro rispettivi lavori e i due figli, un adolescente irrequieto che vuole combattere ciò che vive e una undicenne che con la sua sensibilità cerca di tenere stretta a sé la propria famiglia. Ma dietro questa storia si cela la rappresentazione più attuale della Gig Economy, che al giorno d’oggi è diventata permeante e talmente consuetudinaria da non essere neanche più percepita, ed è la nuova forma di organizzazione dell’economia digitale e del lavoro che pervade la vita di molti lavoratori.


Questo modello economico basato sul lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo piuttosto che sulle prestazioni lavorative stabili e continuative caratterizzate da maggiori garanzie contrattuali, in realtà è nata per quei mestieri che una persona potrebbe (voler) svolgere a tempo perso, come se fosse un secondo lavoro per occupare il tempo di uno studente universitario. Invece è ormai diventato un nuovo metodo di lavoro standardizzato e non più a tempo perso, sempre più parcellizzato e affidato a lavoratori freelance, non più gestito da un capo o da un coordinatore di area o settore “vero e umano”, ma da piattaforme sempre più digitali che usano algoritmi sempre più veloci e maggiormente canalizzati, al punto da far diventare le persone dei veri e propri lavoratori alle dipendenze di datori  sempre più virtuali e che richiedono di svolgere le attività lavorative freneticamente, senza soste, senza tutele, ipercontrollati.
Durante le riprese di un precedente film, il regista e lo sceneggiatore di questa pellicola, hanno cominciato ad interrogarsi su qualcosa che vedevano ronzargli intorno, cercando di capire cosa c’era davvero dietro chi consegnava pasti sul set o si preoccupava di fargli da autista a prezzi economicamente più vantagiosi.

Così è nato questo film, parlando con i fattorini – che ricevono anche una menzione nei titoli di coda -, girato in ordine cronologico e senza un copione che permettesse di prevedere il finale, per renderlo il più naturale e vero possibile, facendo calare gli attori non solo nel ruolo che stavano interpretando, ma catapultandoli letteralmente e materialmente nelle vite di Ricky, Abbie, Liza e Sebastian.

Nonostante l’età avanzata che lo vorrebbero serenamente in pensione, Ken Loach con il suo stile graffiante e spietato ancora una volta ha cesellato i ritratti dell’emergenza sociale della working class britannica ed europea, rendendo questo film un faro su quello che è diventato il mondo del lavoro e dei lavoratori nella nostra società contemporanea.
Il messaggio che questo film vuole lanciare, non è tanto una denuncia verso i grandi e meno grandi sistemi automatizzati che ormai siamo normalmente abituati ad usare per soddisfare una voglia di cibo fuori orario o un risparmio spasmodico per l’acquisto di un prodotto qualsiasi, ma una riflessione più profonda che ognuno dovrebbe fare e che riguarda la sostenibilità di questo metodo economico e delle ricadute dello spacchettamento dell’essere umano che necessariamente deve soccombere ad un sistema frenetico.
Per quanto un film debba avere nella maggior parte dei casi l’obiettivo di farci ridere, divertire, dimenticare la realtà che ci circonda, il merito di questa pellicola sta nell’effetto contrario. Il suo ruolo infatti è quello di farci comprendere come singoli, l’importanza che il lavoro ha e deve avere per ogni persona e come società. Di contro, dovrebbe farci ricordare che dietro ogni situazione lavorativa c’è una persona e che come tale merita di essere rispettata. Per cui, c’è quasi da sperare che alla prossima consegna mancata al vostro indirizzo abbiate visto questo film, anche se in Italia, non viene lasciato il bigliettino con la scritta “Sorry We Missed You”.

Francesca Tesoro

“Libera el líder que hay en ti” de Stephen R. Covey

En los últimos meses, el mundo de la infancia y la educación se ha visto sometido a una presión especial. La emergencia sanitaria vinculada al Panemic Covid-19 que ha golpeado al mundo está cuestionando la forma de educar a los niños y preparar a los estudiantes para el futuro, dada la incertidumbre que parece caracterizar la vida de todos.
Los gobiernos de todos los países del mundo se han encontrado imponiendo nuevos hábitos a los ciudadanos y cada nación ha aceptado el distanciamiento social necesario para combatir el Coronavirus.

Esto supuso, en primer lugar, el cierre de escuelas. Muchos padres, ya probados por el miedo a la salud, por la precariedad de los entornos laborales y las condiciones económicas, han tenido que reinventarse y, en ocasiones, incluso probar suerte en el papel de profesores de sus hijos.

La situación, todavía muy incierta en el mundo, obliga a navegar a la vista, sobre todo en lo que respecta al mundo escolar. Las nuevas tecnologías, que han hecho posible afrontar los largos meses de bloqueo gracias al llamado aprendizaje a distancia, no pueden ser la única solución, especialmente a largo plazo.

Para mirar al futuro con optimismo, es necesario probar nuevos métodos o redescubrir los ya probados, para intentar lograr el mejor resultado posible, incluso en la adversidad.

En este sentido, tras leer y analizar “Las 7 reglas para tener éxito” y “La octava regla. De la eficacia a la excelencia ”, Stephen R. Covey ha vuelto a inspirarnos con otro bestseller,“ Libera al líder que hay en ti ”, Franklin Covey Education, ahora un clásico que se puede reinterpretar de una manera moderna. Es un manual real para educadores y padres que quieran inspirar grandeza en niños y adolescentes.

Un vademécum, pero también un testimonio práctico de cómo las 7 reglas ideadas por Stephen Covey se pueden aplicar en el mundo de la escuela, pero también en la educación familiar de los niños para transmitir confianza y sentido de responsabilidad y empatía desde la infancia.

Pero dejémoslo claro: como lo hizo con los adultos, incluso con los niños, el autor no profesa el éxito a toda costa, ni económico, ni laboral, ni personal. Este manual no enseña “qué pensar” para tener éxito, sino “cómo pensar” para definir realmente tus prioridades y dar lo mejor de ti para lograr metas que favorezcan el crecimiento de los niños.

Capítulo tras capítulo se describe el proceso educativo que ayuda a los niños y jóvenes a tomar conciencia de sí mismos y de sus sueños de forma natural, afrontando las dificultades y haciendo del contexto que les rodea, ya sea escolar o familiar, un lugar en el que vivir. para brotar y sentirse a gusto.
La piedra angular, como ya ha explicado Covey, es escucharse a sí mismo y a los demás, convirtiéndose primero en líder de uno mismo y, posteriormente, de un hipotético grupo. Adquirir liderazgo, para los más pequeños, significa intentar dominar el contexto que los rodea, sin sentirse dominados u oprimidos. Pero también significa entender su dinámica y sentirse parte de un proyecto mayor, además de ser protagonistas de un proceso de crecimiento. Sentirse escuchado, ayuda a la capacidad de escuchar y ganar confianza en las propias posibilidades ayuda a inculcar confianza en los demás: esto es liderazgo.

Lo llamativo de este texto y que podría ser reevaluado y reaplicado incluso en la difícil situación escolar actual a nivel mundial, debido al Coronavirus, son todos los ejemplos prácticos de escuelas que han implementado este método a diario, obteniendo grandes resultados.
En el pasado, las enseñanzas de Stephen Covey han inspirado a miles de maestros en miles de escuelas en docenas de países alrededor del mundo.

La educación en la eficacia y la confianza en las propias capacidades podría dar muchos resultados incluso en nuevos contextos escolares que, en los próximos meses, deberán adoptar las reglas del distanciamiento social, pero también en el caso de que se vuelva a ver obligado a afrontar largos años. periodos de lecciones a distancia.

Incluso en las adversidades más impredecibles para los adultos, los niños y adolescentes tienen derecho a atesorar su tiempo y no quedar inmovilizados por la creencia de que no se puede hacer nada para construir un futuro mejor.

La piedra angular, como ya ha explicado Covey, es escucharse a sí mismo y a los demás, convirtiéndose primero en líder de uno mismo y, posteriormente, de un hipotético grupo. Adquirir liderazgo, para los más pequeños, significa intentar dominar el contexto que los rodea, sin sentirse dominados u oprimidos. Pero también significa entender su dinámica y sentirse parte de un proyecto mayor, además de ser protagonistas de un proceso de crecimiento. Sentirse escuchado, ayuda a la capacidad de escuchar y ganar confianza en las propias posibilidades ayuda a inculcar confianza en los demás: esto es liderazgo.

Lo llamativo de este texto y que podría ser reevaluado y reaplicado incluso en la difícil situación escolar actual a nivel mundial, debido al Coronavirus, son todos los ejemplos prácticos de escuelas que han implementado este método a diario, obteniendo grandes resultados.
En el pasado, las enseñanzas de Stephen Covey han inspirado a miles de maestros en miles de escuelas en docenas de países alrededor del mundo.

La educación en la eficacia y la confianza en las propias capacidades podría dar muchos resultados incluso en nuevos contextos escolares que, en los próximos meses, deberán adoptar las reglas del distanciamiento social, pero también en el caso de que se vuelva a ver obligado a afrontar largos años. periodos de lecciones a distancia.

Incluso en las adversidades más impredecibles para los adultos, los niños y adolescentes tienen derecho a atesorar su tiempo y no quedar inmovilizados por la creencia de que no se puede hacer nada para construir un futuro mejor.

Articolo di Alessandra Rinaldi

Traduzione di Sara Trincali