“Il Cliente”
è un’avvincente pellicola del 1994, diretta da Joel Schumacher e interpretata
da Susan Sarandon, Tommy Lee Jones,
Brad Renfro e Mary-Louise Parker, tratta dall’omonimo romanzo di John Grisham.
Il
protagonista della storia è Mark, un ragazzino ribelle che, a soli undici anni,
conduce un’esistenza particolarmente difficile, cercando di essere un punto di
riferimento per il fratellino più piccolo e di dare meno preoccupazioni possibile
alla giovanissima madre, sola e con un lavoro precario. Un pomeriggio i due
fratelli assistono casualmente al suicidio di un avvocato legato alla mafia
statunitense che confida a Mark dove si trova il cadavere di un senatore da
poco ucciso e la loro vita cambierà per sempre. Mentre il fratellino è ricoverato
in ospedale a causa dello shock e sua madre è assalita dai giornalisti, Mark,
messo alle strette dall’FBI, che vuole conoscere tutte le informazioni in suo
possesso, decide di rivolgersi a Reggie Love, un’avvocatessa coraggiosa, dal
passato difficile, che non ha nessuna intenzione di lasciare in balia delle
trame, non sempre trasparenti, della legge, un cliente così speciale come Mark.
Lasciando
da parte la trama legal-thriller per
lo sviluppo della quale Grisham e Schumacher dimostrano di essere maestri,
ciascuno nel proprio ruolo, questa pellicola offre numerosi spunti di riflessione
sulla figura del “cliente” a tutto tondo, applicabili a molteplici e variegati
contesti, sia in ambito aziendale, sia in ambito imprenditoriale.
Il
piccolo, ma estremamente intelligente, Mark, infatti, può essere l’emblema del cliente tipo, difficile e sospettoso, e
il rapporto di fiducia che l’avvocatessa Love riesce a stringere con lui,
nonostante le difficoltà e il pericolo che entrambi corrono, ha un valore
paradigmatico, dimostrando che non tutte le dinamiche che riguardano i clienti
sono di natura prettamente economica.
Qualsiasi
cliente, infatti, si trova in una posizione di forza, in quanto datore di un
generico potere di acquisto, ma, nello stesso tempo, può trovarsi in una
posizione di debolezza. Lo stesso Mark, quando si rivolge a Reggie Love, non è
pienamente consapevole dei propri diritti e neanche dei propri bisogni,
circostanza nella quale potrebbe trovarsi un qualsiasi cliente. Il modo
migliore per guadagnare un cliente soddisfatto, che resti affezionato e fedele
nel tempo, è renderlo edotto dei propri diritti, seguendolo passo passo e
consigliandolo su quali siano le sue reali esigenze più profonde che, andando
oltre l’aspetto economico, sono le stesse dell’azienda o dell’imprenditore.
Non
sempre, infatti, il cliente sa cosa desidera realmente, così come, a volte, è
convinto di avere necessità che invece risultano essere secondarie. Ecco,
dunque, che la corretta comunicazione col cliente è alla base di un rapporto di
fiducia profonda e soddisfacente. Mark e Reggie hanno spesso scambi di vedute
colmi di tensione e la capacità dell’avvocatessa di correre rischi pur di fare
gli interessi del proprio cliente che, in ultima istanza, sono anche i suoi,
rende alla perfezione l’ideale rapporto che potrebbe esserci tra cliente e
azienda a tutto tondo.
Il
cliente va difeso e protetto, a costo di correre qualche pericolo. Tuttavia,
anche il cliente commette errori, più o meno consapevolmente, ma, con la giusta
strategia e facendo appello alla fiducia guadagnata assumendosi i giusti
rischi, è possibile condurlo verso le decisioni migliori per tutti.
Pensando alla storia di Mark e Reggie, la quale si prenderà cura di lui come si prendeva cura dei suoi stessi figli, dei quali non ha più la custodia a causa di un passato come alcolista, e cercherà di instaurare anche un rapporto di fiducia con la giovane madre di Mark in difficoltà economiche, si può giungere alla conclusione che un cliente è come un figlio che ha un’altra mamma: è difficile calcolarne il valore e impossibile dargli un prezzo differenti da quello giusto.
“Ricominciare dalla crisi”, a cura di Massimo Orlandi e Paolo Ciampi, edito dalla Romena – Casa Editrice, quinta edizione della collana “Le parole e il silenzio”, è senza dubbio un libro inaspettato.
Inaspettato, prima di tutto perché lo abbiamo incontrato nella foresteria di un monastero ed era stato scelto per altro, invece, leggendolo ci si è rese conto che avrebbe dovuto avere uno spazio in Sistema Generale.
Inaspettato, per ciò che racchiude. In realtà questo libro, è la sintesi di un viaggio fatto di incontri che – nello specifico di questo titolo – sono avvenuti nel 2011 in alcuni dei luoghi più suggestivi del Casentino, permettendo ad un pubblico divenuto sempre più numeroso, di interfacciarsi con – cinque, per la precisione – presenze autorevoli e diverse per sognare con occhi nuovi e ridare slancio al quotidiano.
Inaspettato, per le tematiche affrontate e le personalità con cui si sono svolti gli incontri.
Le riflessioni riportate nel volume sono quattro, non con l’intento di recriminare e replicare talk show già visti che parlassero, indagando, la grande crisi economica di inizio secolo, ma con l’obiettivo di analizzare la possibilità del futuro e dei suoi bisogni, descrivendolo come un ragionevole punto di riferimento, attraverso speranze, valori e idee.
Le personalità che hanno fatto parte di questo viaggio, invece, sono assolutamente diverse tra loro ma decisamente complementari.
Silvia Ronchey, storica bizantinista e docente di filosofia classica e civiltà bizantina all’università di Siena, ha partecipato all’incontro che ha preso il titolo “La storia Siamo Noi”. Pier Luigi Celli, laureato in sociologia, imprenditore e dirigente d’azienda che per molto tempo ha gestito incarichi di direzione delle risorse umane, è stato direttore generale dell’università Luiss Guido Carli ed ha affrontato la “Fame di Futuro”.Vandana Shiva– ecologista, attivista, scienziata e filosofa – e Wolfgang Fasser – musico terapista e fisioterapista, non vedente – hanno invece parlato del “Ritorno alla Terra”.Roberto Mancini, docente di filosofia teoretica all’università di Macerata, ha dato una lettura diversa della crisi, completando il volume con l’ultima sezione intitolata “Più Forti della Crisi”.
“La storia Siamo Noi”
Silvia Ronchey, durante il suo incontro avvenuto nell’aprile del 2011, ha parlato del passato, sicuramente per la sua identità di storica, ma soprattutto perché conoscere la storia non è solo prezioso, ma necessario, essendo l’impalcatura del nostro presente.
Guardare al passato per migliorare il presente, ha un valore provocatorio, ma un fondo di verità. Del resto, non si può ragionare senza considerare che l’esperienza del passato e l’impalcatura del presente – o del futuro – possono reggersi solo su una solida memoria che assicura realtà e consistenza. Studiare il passato, analizzarlo ed elaborarlo nella sua complessità, come dice la Ronchey, è necessario per avere un futuro. Si progredisce attraverso la bellezza della ricerca che è come un cammino, sicuramente faticoso, ma che produce cambiamenti tanto internamente quanto esternamente. Ed anche se l’epoca attuale condiziona la – nostra e personale – ricerca storica, la storia fa il presente e un bravo storico deve comportarsi un po’ come un giudice che in modo obiettivo ascolta e determina l’istruttoria. È indubbio che la storia divenga un veicolo di cambiamento, soprattutto in un periodo come quello di oggi – nel nostro 2019 più che mai – dove la globalizzazione e la velocità delle informazioni ci distraggono, di deviano, ma soprattutto abbassano violentemente la nostra soglia di attenzione facendoci perdere la bellezza di un percorso di apprendimento meditato.
“Fame di Futuro”
Una delle prime domande che si è sentito porre Pier Luigi Celli nel maggio del 2011, è stata quella di uno studente che gli ha chiesto se fosse meglio seguire i propri sogni o se, al contrario, era meglio metterli da parte scegliendo un atteggiamento più pratico e quindi preferire un indirizzo universitario che garantisse un lavoro.
Tanto allora quanto oggi, lo stato d’animo della generazione ricompresa tra il post liceale e il “lavoro stabile”, è ancora di un grigio scuro che non sta bene a chi avrebbe tutte le forze e la voglia di spingere fino in fondo sull’acceleratore dei sogni.
Siamo di fronte a un paese distratto che ha poca cura dei giovani, dei loro bisogni, delle loro necessità e del loro futuro. Siamo di fronte ad una generazione che si sente tradita. E proprio sull’onda di questo tradimento, reiterato aggiungo io, Pier Luigi Celli ha rivolto ai giovani un appello: riprendersi in mano il destino che gli è stato sottratto smontando qualche luogo comune sulla ricerca del lavoro.
I giovani non possono permettersi di demordere ed anzi devono puntare sulle qualità apparentemente poco valutate e valorizzate: la curiosità, l’entusiasmo, le proprie passioni.
Quelli che sono giovani ma ce l’hanno fatta, sono coloro che hanno avuto spazio, quelli che sono stati messi nella condizione di sbagliare e rischiare, perchè un problema dei giovani di oggi è che, se nessuno si prende cura di loro e li aiuta ad ambientarsi nei vari ambienti che vivono e non li sostiene nei progetti che fanno o nelle idee che hanno, non sapranno da che parte andare. E questa responsabilità spetta agli adulti. Celli lo dice chiaramente e senza mezzi termini. Conoscere le persone e parlare con loro significa guardare oltre la radiografia che rappresenta il cv di quella stessa persona e viceversa. È parlando e conoscendo le persone che ci si rende conto della loro storia e delle capacità che lo renderanno adatto o meno al ruolo. È una cosa di una importanza fondamentale. Perchè siamo uomini e donne fatti non solo di razionalità, di sapere e competenze, ma anche di sentimenti e passioni che sono il nostro motore animativo e che concorrono a completare e determinare il nostro modo di essere.
Per fare il manager, ci ricorda Celli, o qualsiasi ruolo per il quale si immagini che ci sia qualcuno al di sotto della nostra catena operativa, c’è bisogno di una testa larga, generosa, pensante. È necessario un pensiero critico che analizzi le cose prima di farle e che se ne chieda il senso. Invece, siamo stati costretti a sviluppare un pensiero altamente operativo, tecnico, immediato e produttivo che ci porta a fare le cose meccanicamente e senza chiederci il senso.
E ancora, nella discussione sono emersi altri due concetti che oggi affrontiamo sempre di più perché ci rendiamo conto che vengono meno e, invece, potrebbero diventare la soluzione per superare questa crisi sistemica nella quale ormai ci siamo impantanati: i “cervelli” che scappano altrove e lo spirito di gruppo, che si intrecciano tra loro.
La fuga dei cervelli, il problema importante non è che li perdiamo e basta, è che per quanto possano scapparne dall’Italia non ne importiamo abbastanza per creare quell’auspicabile scambio e ricambio culturale, perchè fondamentalmente, perdiamo i migliori che non trovano soddisfazione – non solo economica – nel loro paese.
Allora, una soluzione per affrontare la crisi, secondo Celli, sarebbe quella di alimentare un numero di persone sempre maggiore che vogliono provare a superarla questa crisi, dove alcuni falliranno, altri riusciranno, altri ancora daranno vita a cose diverse. Ma questo sarà possibile solo quando si riuscirà ad insegnare ai nostri ragazzi a essere imprenditori di se stessi e a porsi meglio sul mercato, riuscendo a negoziare la propria competenza.
D’altronde, se si mettono i ragazzi nella condizione di poter fare qualcosa, loro lo fanno e lo sanno anche fare bene, ma bisogna assumersi il rischio di lasciarli fare.
In gruppo è meglio, perchè ognuno ha qualcosa di diverso da mettere in pratica e ci si completa a vicenda. Ma il mondo del lavoro è cambiato tantissimo e la prima difficoltà è quella di prendere coscienza e consapevolezza che da soli non si va lontano, al contrario e a qualsiasi livello la propensione a giocarsi la propria vita in solitaria è cresciuta tantissimo.
“Ritorno alla Terra”
Due percorsi estremamente differenti collegano queste due personalità così simili: Vandana Shiva ecologista, attivista, scienziata e filosofa, icona mondiale delle battaglie per la difesa della biodiversità e Wolfgang Fasser musico terapista e fisioterapista, non vedente, che predilige uno stile di vita essenziale a cavallo tra la toscana e il Lesotho dove pratica la professione in favore dei più deboli. Ciò che li accomuna è il sentimento che la terra è il “luogo dove la vita ci parla” e l’idea che per affrontare i guasti del presente, non serve chissà quale medicina ma un atteggiamento ben preciso: sgonfiare l’ego dell’uomo, chiedendogli di abbassarsi quanto basta per tornare a sentire la voce della terra.
Per noi, questi concetti potrebbero sembrare completamente lontani da qualsiasi logica. E invece è il contrario. Hanno ragione quando sostengono che sia necessario creare una cultura alternativa, fatta di rispetto per noi e per il futuro di chi verrà, della natura e del nostro pianeta, per la biodiversità. Vandana Shiva ci ricorda che dovremmo prendere anche un po’ esempio da questa biodiversità che è intelligente, creativa e che fa moltissimo per noi. Come dovremmo abbandonare l’illusione della crescita economica legata alla realtà dell’abbondanza che esiste nella normale concezione di tutti.
Hanno ragione entrambe quando dicono che la natura è oramai vista solo come una fonte materiale da sfruttare per interessi economici e non come colei che produce la capacità creativa degli esseri umani. La natura è la prima grande maestra che ci insegna, ci fa capire chi siamo ed è tanto piena di analogie con ogni singolo individuo che, solo mettendoci in suo ascolto, potremmo capire semplicemente la vita aiutando le persone a riscoprire la loro capacità di ascolto.
Come in natura la diversità è una ricchezza nelle relazioni, la stessa cosa dovrebbe essere tra i suoi abitanti, riuscendo a rivisitare e riesaminare tutte le idee della ricchezza, dell’economia, delle comunità e delle relazioni, abbandonando l’ossessione per i soldi che oscura la vita di comunità e le sue relazioni.
“Più Forti della Crisi”
Roberto Mancini è un filosofo per il quale la filosofia significa saper leggere le logiche di costruzione dell’esperienza della vita individuale e della società. È il tentativo di decifrare le logiche di costruzione dell’esperienza, permette di non essere dominati da logiche che non si conoscono e di cui nemmeno ci si rende conto. Per quanto possa sembrare assurdo, l’essere umano è in continuo movimento e la filosofia è concreta, è coltivazione della sensibilità e della lucidità necessaria in questo movimento perpetuo.
La crisi della nostra società, non è una crisi sorta solo sull’onda del crack delle banche e dei mutui americani, è la rappresentazione di un sistema che non ha – più – i fondamenti di giustizia e che quindi produce, vive e fabbrica crisi a ciclo continuo. Parliamo di un sistema che ha dimenticato completamente il senso, il significato e il valore del fattore umano – ricordate ? – dove le persone non sono più tali ma diventano, a seconda dei casi, risorse o esuberi. Un sistema che ha messo da parte qualsiasi modo di intendere la vita che non sia legato all’economia, che ha dimenticato la differenza tra un fine da raggiungere e uno strumento per raggiungere il fine, un sistema che ha dimenticato di riconoscere la dignità delle persone, delle relazioni del mondo naturale.
E siccome le crisi sono tutte senza memoria, il primo passo dovrebbe essere proprio quello di recuperare la memoria delle crisi che nel passato si sono verificate, perchè siamo pronti a cercare le soluzioni alle crisi, ma dimentichiamo sempre di analizzare le cause che le hanno generate. Abbiamo perso il senso della bellezza del radicamento etico e dell’orientamento interculturale, nel nostro agire e nel nostro essere.
Roberto Mancini durante il suo incontro avvenuto nell’ottobre del 2011, ha citato sorprendentemente Simone Weil, quando ha detto “una civiltà fondata su una spiritualità del lavoro sarebbe il grado più elevato di radicamento dell’uomo nell’universo”.
Abbiamo dimenticato uno dei bisogni ancestrali dell’uomo, quello di poter convivere in un ordine armonico interiore, sociale, civile, con la natura, perchè l’uomo e la donna sono fatti di relazione ma ci siamo lasciati convincere che invece siano solo re(l)azione.
Nell’armonia si sviluppa la libertà ed è un dato di fatto che intelligenza della speranza, metodo e l’integrità delle persone, sono tre elementi fondamentali e ricorrenti che troppo spesso vengono messi da parte. Bisognerebbe uscire dalla logica di isolamento e competizione, risvegliando in noi la corresponsabilità del mondo comune e per la cura dell’integrità delle persone.
Ciò che ci vuole, è il cambiamento ed è un processo che richiede diversi passaggi.
Primo, il risveglio: riconoscendo che le logiche dominanti non sono adeguate, il mondo sarà cambiato quando le persone si renderanno conto che saranno felici e si prenderanno cura degli altri.
Secondo, la creazione di zone franche dove non contano più le cose materiali ma si da vero valore e peso alle persone.
Terzo, cambiare la nostra esistenza quotidiana, recuperando il buon funzionamento della vita sociale, l’educazione, l’economia, la politica e l’informazione di un tempo.
Il cambiamento è ostacolato dallo sguardo e dal cuore chiuso con cui ogni mattina affrontiamo quel pezzo di vita. Ognuno di noi ha una serie di doveri, dare peso e valore alla nostra libertà, al nostro percoso, alla nostra dignità e non lasciare, mi permetto di concludere, che il primo sciacallo incontrato sulla via ci convinca di tutt’altro, riuscendo magari anche a farci cambiare idea, atteggiamenti e convinzioni.
E di questi sciacalli ne sono piene le pagine di giornale, i telegiornali e le strade.
“Questo
libro è stato ideato come una cassetta degli attrezzi per supportare gli
imprenditori alle prime armi – e imprenditori più esperti – a costruire imprese
di successo basate su prodotti innovativi. Anche imprenditori seriali con
consolidata esperienza in un campo o in un settore specifico, possono
riconoscere in questi 24 passi una guida utile per portare in maniera più
efficace i prodotti sul mercato.
Come
imprenditore, mi sono state utili molte fonti, dai libri ai mentor, e
soprattutto la mia esperienza diretta. Tuttavia, non ne ho ancora trovata una
unica in grado di unire diversi aspetti in modo esaustivo”.
Siccome
nessun manuale prima d’ora ha mai messo insieme teoria e pratica, studio ed
esperienza, in modo totalmente esauriente, il carismatico imprenditore Bill Aulet, Direttore Generale del
Martin Trust Center for MIT Entrepreneurship presso il MIT e docente alla Sloan
School Management del MIT, ha deciso di scrivere un libro che è stato di grande
ispirazione per molti manager in tutto il mondo, “La disciplina dell’imprenditore”, edito in Italia da Franco Angeli.
Questo
testo, divenuto un bestseller internazionale tradotto in oltre venti lingue, è
costituito da quelli che Bill Aulet definisce i 24 passi necessari per creare una start up di successo, seguendo le
orme dei migliori, ma anche imparando
a percorrere, con coraggio e aspettativa, strade mai battute prima.
Come
in un gioco dell’oca 2.0, che non è
affatto un “gioco”, l’autore spiega, con stile scorrevole e metodo intuitivo, il
“viaggio” che dovrebbe compiere ciascun potenziale imprenditore e come
l’imprenditorialità possa essere insegnata e, quindi, imparata da chiunque, con
l’umiltà di chi ha profonda fiducia nei propri mezzi, ma anche con la
consapevolezza che persino il “fiuto” migliore vada affinato e tenuto in
allenamento grazie allo studio e all’esperienza sul campo.
I
primi 24 passi da fare per dare vita a un’attività e gestirla con successo sono
suddivisi da Bill Aulet in sei tematiche principali che rispondo ad altrettante
domande fondamentali per iniziare col piede giusto:
Chi è il tuo cliente?
Cosa puoi fare per il tuo cliente?
Come acquista il cliente il tuo prodotto?
Come realizzi profitto con il tuo prodotto?
Come progetti e costruisci il tuo prodotto?
Come puoi espandere la tua impresa?
Quesiti
solo apparentemente semplici, ma ai quali è necessario impostare risposte il
più solide e concrete possibile fin dal principio per non avere falle nel
proprio progetto. Ogni tema è costituito da un determinato numero di passi da
compiere prima di affrontare il tema successivo e ciascun passo è sviscerato
dall’autore anche grazie all’uso di esempi pratici, schemi, tabelle, schede
riepilogative e fumetti simpatici ed esplicativi.
Alla
fine dei 24 passi del percorso l’imprenditore sarà riuscito a focalizzare
meglio e, quindi, a valorizzare la propria idea imprenditoriale, individuando la
giusta opportunità di mercato da cogliere e coniugando al meglio gli aspetti
prettamente economici e produttivi con le risorse umane che ha a disposizione.
L’efficienza, sia nella gestione, sia nella costruzione del prodotto e nella
sua promozione a favore del target di clienti, sono gli obiettivi da raggiungere
che metteranno in moto il circolo virtuoso che dovrebbe caratterizzare la vita
di ciascun imprenditore, tanto per il suo ruolo nella società, quanto per la
sua personale soddisfazione, tra empatia e competitività. Un imprenditore disciplinato è un imprenditore che,
oltre a costruire un’attività per se stesso, ne comprende e ne valorizza ogni
potenzialità anche a favore degli altri, che siano clienti o competitor, in
accordo con i valori di un più alto sistema sociale che dovrebbe essere per
tutti il terreno fertile su cui seminare il proprio futuro e raccoglierne i frutti.
Maria Tringali
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