“Shareable! L’economia della condivisione” a cura di Tiziano Bonini e Guido Smorto

L’economia della condivisione o sharing economy è oggi una realtà in forte sviluppo anche nel nostro Paese. Oltre a un sistema economico rivoluzionario che si genera dalla collaborazione tra pari, l’economia della condivisione sta diventando, in molte parti del mondo, un vero e proprio stile di vita, un modo di pensare e di organizzare la propria quotidianità contando sul prossimo, ma anche mettendosi a disposizione del prossimo stesso. Car sharing, bike sharing, home sharing, crowdfounding, co-working e molti altri termini presi in prestito dalla lingua inglese sono parole ormai di uso comune anche per noi, un po’ per sentito dire, un po’ per esperienza diretta.

In “Shareable! L’economia della condivisione”, Edizioni di Comunità, Guido Smorto e Tiziano Bonini hanno raccolto e tradotto assieme a Maria Moschioni una serie di articoli tratti dalla rivista online no profit Shareable.net, nata nel 2009 negli Stati Uniti dalla collaborazione dei maggiori esperti mondiali di economia collaborativa, come guida a questo nuovo modo di vivere e di pensare, ma anche come antidoto alla profonda crisi che, con un preoccupante effetto domino, ha colpito tutto il mondo occidentale in questo ultimo decennio. Questa antologia di articoli vuole fare il punto sui successi e sui fallimenti di questo sistema economico in tutto il mondo, cercando di avvicinare al concetto di economia collaborativa anche noi Italiani, più restii a concederci la possibilità di affacciarci su questo universo di novità che ha per basi il rispetto del prossimo.

Come spiega nella sua prefazione Neal Gorenflo, direttore esecutivo e co-fondatore di Shareable.net e consulente sui temi legati alla sharing economy per istituzioni pubbliche e private in tutto il mondo, la condivisione è una delle attività umane più importanti per diversi ordini di fattori, come la lotta all’esaurimento delle risorse naturali, all’isolamento sociale, al divario tra ricchi e poveri, ma anche allo spreco delle risorse e all’indifferenza sociale verso chi sta peggio. Questo sistema, naturalmente, non relega in secondo piano la proprietà privata, ma la esalta, mettendola a disposizione del prossimo che, a sua volta può mettere la propria a disposizione degli altri e così via. All’interno di questo sistema primordiale, naturalmente, si inseriscono anche le aziende, magari produttrici di strumenti o servizi utilizzabili da tutti come se fossero propri, per poi essere rimessi a disposizione degli altri, una volta terminato l’utilizzo esclusivo. Tutte queste dinamiche permettono di esaltare la sostenibilità dei servizi resi, ma anche di rafforzare un senso di fiducia e rispetto verso “l’altro”, chiunque egli sia, come nostro pari e nostro alleato nella vita di tutti i giorni e non come ostacolo alla nostra completa libertà di espressione e di possesso.

In questa raccolta di articoli, tuttavia, si evidenziano anche i fallimenti di questo sistema economico e la difficoltà di applicarlo in comunità non ancora pronte o in ambiti troppo complessi, oltre alle conseguenze economiche e sociali anche negative che questa economia può avere in determinati casi, come la perdita o la ricollocazione di risorse lavorative e anche di capitale umano.

Maggiormente interessanti sono gli articoli che approfondiscono esempi concreti di città, più o meno grandi, che, in tutto il mondo stanno cercando di mettere in pratica questi modelli, ma anche quelli che raccontano l’impatto che la sharing economy potrebbe avere sulle amministrazioni pubbliche, analizzandone vantaggi e svantaggi in modo puntuale ed equilibrato.

Di sicuro per molti, tra cui i fondatori di Shareable.net, l’economia della condivisione rappresenta un sogno che si realizza ogni giorno: a ogni traguardo raggiunto si aggiunge un nuovo obiettivo da raggiungere. Per altri si tratta, invece, di un vero e proprio incubo, un sistema che mette in discussione status sociali e differenze non solo economiche, pieno di incertezze e punti interrogativi per la sua stessa struttura che mette l’uomo al centro e non i suoi beni. Il pregio di questa raccolta di articoli non è dare una risposta giusta o sbagliata ai dubbi e alle considerazioni del lettore, ma di proporre una guida, un approfondimento fatto dai risultati degli studi e dell’esercizio di molti esperti del settore, in modo tale che ciascuno possa farsi un’idea più consapevole e possa decidere che ruolo avere all’interno di questo sistema economico di condivisione che è già una realtà tangibile in tutto il mondo.

Alessandra Rinaldi

La Mucca Viola di Seth Godin

Nell’immaginario comune, se parliamo di mucca viola la prima cosa che vi viene in mente è quella di una nota marca di cioccolata. Quello è marketing.

E noi oggi parliamo proprio di questo, di un libro scritto da Seth Godin e pubblicato dalla  Sperling & Kupfer che si intitola  La Mucca Viola – Farsi notare (e fare fortuna) in un mondo tutto marrone. Libro molto interessante, valido per esperti del settore o per chi lo ha cominciato a leggere per sbaglio, riguarda sì il marketing, ma da un’altra prospettiva, quella del cambiamento, del miglioramento, della modifica delle strutture aziendali in questa materia e che hanno avuto successo, proprio quando hanno cominciato a sentirsi e comportarsi come la Mucca Viola.

Ma chi è Seth Godin? Partiamo dal presupposto che per quanto possa sembrare un inguaribile visionario, è in realtà fondatore e CEO di Squidoo.com ed è uno dei più famosi business blogger al mondo. Ha cominciato a lavorare nel mondo del marketing abbastanza presto, seguendo le sue idee un po’  sopra le righe ma decisamente vincenti: Brand manager di Spinnaker Software nei primi anni ottanta, fonda con i risparmi la Seth Godin Productions poco dopo, occupandosi di packaging editoriale, creando successivamente la Yoyodyne con la quale ha poi sviluppato via internet tutto ciò che riguarda concetti di permission marketing, viral marketing e di direct marketing. Insomma, uno che del marketing ha fatto la sua missione.

Proprio la sua grande esperienza in marketing, lo ha portato a scrivere – tra i tanti – questo libro che mette nero su bianco la fenomenologia inattesa, straordinaria, entusiasmante e assolutamente incredibile che c’è dietro un prodotto, qualsiasi esso sia. 

In effetti, con il passare del tempo e l’aumentare dei prodotti, produttori, modi di fare e di creare la pubblicità, il mutare del nostro modo di vivere e di farci influenzare è cambiato al punto che la prima cosa scritta dall’autore riguarda le P del marketing che non bastano più.

 

Prodotto, prezzo, promozione, posizionamento, pubblicità, packaging, passaparola, permesso – le P del marketing, appunto – sono gli elementi alla base del marketing che viene prodotto e portato avanti in qualsiasi azienda che produca anche un solo oggetto che necessariamente deve trovare il suo spazio nel mercato. A queste deve aggiungersi, oramai, la P della Purple Cow, cioè la straordinarietà di ciò che vuole essere messo nel mercato.

Perchè per fare marketing serve, oggi, lo straordinario?

Perchè si fa notare, fa parlare di sé, suscita interesse. Soprattutto oggi, dove le condizioni del fare pubblicità ad un determinato prodotto sono cambiate, bisogna rendere straordinario l’ordinario che tutti potrebbero produrre e/o vendere. Allo steso tempo, se renderemo il nostro prodotto straordinario, allora cattureremo tutta una fascia di popolazione che magari era interessata ad altro.

Per quale motivo?

Semplicemente, nella storia del marketing bisogna rendersi conto che ad un certo punto le cose sono cambiate. Prima la pubblicità bastava ad entrare nelle case e nelle teste delle persone, anche perchè lo sviluppo dei prodotti non era  avanzato come oggi, per cui le persone – tra le tante cose – non potevano, in realtà, scegliere lo stesso prodotto nelle svariate declinazioni concorrenti tra loro. Oggi invece i consumatori sono troppo impegnati per prestare attenzione alla pubblicità, hanno una quantità di prodotti simili e collaterali e l’unica domanda che si pongono quando stanno per comprare un determinato prodotto è se possa o meno risolvere il loro problema.

La mucca viola è una strategia, un modo di fare strategia, a maggior ragione oggi dove per formulare una teoria valida di successo, bisogna fare attenzione al mondo reale che ci circonda per meglio capire il motivo che sta alla base dei prodotti che fanno scintille nel cuore dei consumatori. Soprattutto nel 2018, dove i normali mezzi con cui si è fatto marketing fino ad oggi stanno perdendo efficacia. La volontà e il modo che stanno alla base del fare marketing è quella di percorrere la via più rischiosa, sembra un paradosso, ma Godin lo esplicita chiaramente: la via meno rischiosa da intraprendere è proprio quella di rischiare, solo così si faranno cose davvero straordinarie. Il rischio da correre è di fare qualcosa di straordinario, di riuscirlo a fare talmente tale da farlo correre e diffondere come se fosse un virus tra le persone. Per quanto sia vero che il fare marketing è cambiato e che i suoi costi siano mutati, è altrettanto vero che se si ha il coraggio di diventare la mucca viola di una determinata parte del mercato, significherà investire ed avere costi elevati, ma si tramuterà anche in un sistema che funziona. E se il sistema funziona, riusciamo a diventare la purple cow, allora diventeremo ricchi. Impossibile? No. Se il mercato è affollato e seguiamo le regole, falliremo perchè resteremo invisibili e dunque, il rischio più grande è quello di essere prudenti.

Per quanto possa sembrare assurdo, non si sa se realmente la Mucca Viola funzioni, avrà successo o meno quando si decide di intraprendere questa via, ma la verità più assoluta è che a farla funzionare è l’imprevedibilità stessa del risultato, perchè il banale conduce al fallimento, lo straordinario….no!

Il principio della mucca viola, secondo Seth Godin, si applica molto bene alle imprese medio-piccole che vogliono crescere e accrescere la propria quota di mercato, non rimanendo incastrate nel rispettare obiettivi trimestrali, profitti, quote di produzione e la minor percezione di rischio possibile. Sapete qual è la vera differenza tra l’ordinario e lo straordinario in termini di marketing? Le idee straordinarie hanno molte più possibilità di diffondersi delle idee che non lo sono, eppure, sono pochi i coraggiosi che creano qualcosa di veramente straordinario, rischiando.

Qual è il modo per creare la Mucca Viola? È infallibile?

Pariamo dalla cosa semplice: non esiste una formula segreta,  un piano o un manuale che garantiscano un successo certo. Per definizione una autentica Mucca Viola è qualcosa di straordinario nel modo giusto, né più né meno. Al contrario, il sistema è molto semplice: bisogna puntare su qualcosa di assolutamente fuori dall’ordinario, pensare a quali attributi straordinari possa avere questo qualcosa e poi valutare i risultati di marketing e quelli finanziari che si vuole raggiungere. Passando in rassegna le famose altre P, provate a indicare dove potrebbero collocarsi gli attributi straordinari. Così avrete un quadro ben preciso per passare alla fase successiva che consiste nell’immaginare la vostra innovazione.

La Mucca Viola, altro non è che un processo per mettere in luce intenzionalmente o per caso gli elementi che fanno dei prodotti ordinari, prodotti straordinari. 

E il marketing? 

È il prodotto  stesso e viceversa, nel senso che al giorno d’oggi il marketing deve fare parte di ciò che decidiamo di produrre e lanciare sul mercato e non come si faceva prima che diventava una strategia successiva e collaterale, perchè la purple cow ha modificato la definizione stessa di marketing.

Prima, ogni settore di un ciclo produttivo era gestito da diversi soggetti e il marketing era solo il fare pubblicità, comunicando il valore del proprio prodotto che – attenzione – era già stato sviluppato, realizzato e commercializzato. Oggi invece il marketing è l’atto stesso di inventare il prodotto, di progettarlo, di definirne il prezzo, di trovare prima ancora di farlo conoscere al mondo quale sia la strategia migliore per venderlo.

Per quanto tutta questa storia del marketing in cambiamento e della Mucca Viola possa sembrarvi decisamente paradossale, sappiate che all’interno del volume troverete una lunga serie di real cases che dimostrano il contrario testimoniando come questo nuovo modo di fare marketing funzioni. 

Allo stesso tempo, sono sicura, che il vostro sguardo di sorpresa si fermerà proprio sul nome di alcune aziende che tutti noi abbiamo sotto gli occhi ogni giorno e che, scegliendo di essere una mucca viola nella prateria del commercio, stanno avendo successo.

Esattamente come scrive Seth Godin.

Francesca Tesoro

Manageritalia: analisi della situazione economica del Lazio

Da sempre Manageritalia compie periodicamente una profonda e dettagliata analisi del tessuto economico delle varie regioni d’Italia. In qualità di Presidente della zona del Lazio, e non solo, sono stato testimone e portavoce di questo lavoro che ritengo utile anche per comprendere meglio alcuni fenomeni sociali e, di conseguenza, politici.

manageritalia
Nei primi anni Duemila l’area di Roma e la sua provincia crescevano a ritmi superiori alla media nazionale dell’1% annuo circa. Gli anni della crisi economica, tuttavia, hanno modificato e, in un certo senso, stravolto questo trend, invertendone la tendenza in modo traumatico. La crisi ha cambiato il volto economico di Roma e della sua provincia, dando vita alle dinamiche estremamente complesse che tutti i cittadini vivono ormai da un decennio. Andando più nello specifico, infatti, in questi anni, si è assistito a un calo del valore aggiunto pro-capite in diminuzione di oltre il 10%. Per semplificare al massimo, il valore aggiunto pro-capite è dato dalla differenza tra il valore della produzione del periodo e i consumi di materie e servizi dello stesso periodo diviso il numero degli occupati, e, sempre sulla base dei dati Istat, dall’inizio della crisi la produttività del lavoro il Lazio ha mostrato una dinamica peggiore della media nazionale, perdendo nel periodo 2007-2016 circa 5 punti percentuali rispetto alla media italiana.
Al contempo, però, gli occupati tra 2007 e 2016 sono aumentati di 190.000 unità, pari al +11,8% e le imprese registrate sono aumentate di 65.177 unità, con un incremento percentuale del 15,5%. Più imprese, più lavoratori, ma meno ricchezza prodotta, una tendenza che dovrebbe far riflettere.


La sensazione è che il sistema economico di Roma e provincia abbia sperimentato una crescita del numero di lavoratori e del numero di imprese, senza tuttavia riuscire a innescare un percorso di vera rinascita economica, generando una crescita imprenditoriale e occupazionale a basso valore, con un impatto negativo sul versante della qualità del lavoro e della sua capacità di produrre reddito, contribuendo così, assieme a numerosi altri fattori, a un aumento della percezione della precarietà da parte dei cittadini.
Roma sembra diventare sempre più la città dei “lavoretti” e dell’impresa “per necessità”. Un sistema produttivo sempre più “polverizzato” dove la dimensione media delle imprese è sempre più piccola. Molte grandi aziende stanno riposizionando e modificando le loro strategie di investimento, penalizzando Roma che in questa fase non gode di una buona immagine come “città d’affari”. Ma, oltre all’impatto negativo delle grandi imprese che lasciano la città, il danno più rilevante deriva dalle nuove imprese che non riusciamo ad attrarre.
Il fenomeno della polverizzazione delle imprese, con dimensioni sempre più ridotte, potrebbe però trovare un punto di cambio di trend grazie alla diffusione delle imprese innovative nella nostra regione.


La dinamica della produttività di un Paese e di una regione è fortemente influenzata dalla capacità del suo tessuto produttivo di innovare. La capacità innovativa del Lazio è più elevata della media nazionale, grazie a una buona dotazione di capitale umano occupato e alla ricerca svolta dalle Istituzioni pubbliche.
Il miglior risultato del Lazio rispetto alle altre regioni italiane è riconducibile a una spesa pubblica in ricerca e sviluppo e qualità del capitale umano (istruzione universitaria, numero di addetti nei settori high-tech, pubblicazioni scientifiche internazionali) superiori alla media.
Nel Lazio, tra il 2012 e il 2016, la quota di occupati in possesso di una laurea si è attestata in media al 26,1%, un valore più contenuto della media UE-28 (33,0%), ma superiore a quello del Centro e alla media nazionale (23,0% e 20,2%, rispettivamente).
Nel 2012 è stato introdotto in Italia uno specifico regime giuridico e fiscale per agevolare la nascita e lo sviluppo delle imprese ad alta capacità innovativa, chiamate start-up innovative.
Alla fine del 2017 nel Lazio erano iscritte al Registro delle Imprese delle Camere di Commercio 805 start-up innovative (circa il 10% del totale nazionale); la regione era terza per numero di start-up dopo la Lombardia (1.909) e l’Emilia Romagna (862).


Nel Lazio l’incidenza delle start-up dei servizi è superiore alla media, riflesso del maggior peso del comparto sulla struttura economica regionale. In particolare il Lazio appare specializzato nelle start-up dei servizi di trasporto, sanitari, di quelli collegati al turismo, dell’informatica e delle telecomunicazioni.
In conclusione, abbiamo notato segnali contrastanti di sviluppo e ripresa a cui proviamo a dare giustificazione riferendoci all’ambiente particolare nel quale operano le imprese della nostra regione.
Invece, segnali di sviluppo consistenti e netti si registrano nel mondo delle start-up innovative e nell’economia della conoscenza, con un utilizzo di forza lavoro qualificata ben al di sopra della media nazionale.
Manageritalia ha già intercettato questi due temi e ha impostato parte della propria operatività su innovazione ed economia della conoscenza, ritenendo che il nostro ruolo di agenti del cambiamento e portatori di cultura manageriale, di innovazione e sviluppo sostenibile ci debba portare ad essere sempre più presenti e attivi su questi temi.

Roberto Saliola