Che vi piaccia oppure no, che ascoltiate la sua musica o meno, Luciano Ligabue all’inizio di quest’anno ha presentato al mondo cinematografico il suo terzo film. Dopo Radio Freccia e Da Zero a Dieci, è arrivato il tempo di Made in Italy.
Pellicola, prodotta dalla Fandango, distribuita dalla Medusa, nata nelle more dell’omonimo e precedente (concept) album del 2016, ha avuto la capacità di infrangere un tabù, raccogliendo quattro candidature ai Nastri d’Argento e vincendone uno, incassando tre milioni di euro nelle sole prime due settimane di programmazione.
Girato in poco più di un mese nell’estate del 2017 e arrivato nelle sale a gennaio, è un film crudo e vero che, con estrema schiettezza, inquadra e porta sugli schermi il disagio della precarietà di un uomo di mezza età.
Riko (Stefano Accorsi), cinquantenne della provincia emiliana è un uomo che ha sempre vissuto seguendo gli schemi preordinati della società al ritmo del tempo. Ha una moglie (Kasia Smutniak) che ama nonostante le reciproche scappatelle, ha un figlio che sarà il primo della famiglia ad andare all’università, ha un lavoro che non ama fare ma che fa bene perchè è comunque il suo lavoro ed era il lavoro di suo padre e prima ancora del nonno, come la casa in cui abita e che non potrà più mantenere. È un uomo attaccato in modo viscerale al suo paese, al suo gruppo di amici, alla sua realtà, fin quando anche lui non viene toccato dai tagli al personale nel salumificio in cui lavora e la sua crisi di mezza età diventa una crisi esistenziale molto più profonda e lacerante.
Stefano Accorsi, è molto bravo ad impersonificare questo personaggio che, a detta dello stesso Ligabue, rappresenta un uomo attaccato alla vita, al suo mondo fatto di amici, casa e famiglia, al paese provinciale, stufo della sua ripetitività e delle ingiustizie quotidiane che riceve, che subisce la stanchezza esistenziale generalizzata e generazionale. Tratti questi che emergono continuamente nelle scene dei film e rappresentano il pensiero di ognuno di noi.
Riko, altro non è che la rappresentazione di una storia specifica che racconta lo spaccato della società odierna legato alla precarietà del mondo del lavoro e delle persone di mezza età che vivono questa tragedia nella loro vita. E con loro, le famiglie.
Perchè quando un uomo perde il suo lavoro, di conseguenza, perde la propria identità, diventando fragile e sentendosi inutile, fino a quando non prende coraggio e decide di cambiare – anche se poi nella realtà non succede così tanto spesso quanto si creda-.
Made in Italy è un film sentimentale, perchè racconta il punto di vista di un uomo semplice, un qualunque operaio radicato nel suo paese e nel suo amore familiare che, per quanto distorto, lo caratterizza, finchè non decide di cambiare ed emigrare altrove, per salvare più che sé stesso il proprio matrimonio, la propria casa, la propria identità e dignità, per rispondere a quell’esigenza di cambiamento che ha come punto di svolta un evento drammatico prima e l’arrivo di un nuovo figlio immediatamente dopo.
Allo stesso tempo questo film è la fotografia dell’Italia contemporanea, assuefatta al un non prendersi le proprie responsabilità da una parte e all’essere abituati a subire dall’altra.
Gli attori (Stefano Accorsi, Kasia Smutniak, Fausto Sciarappa, Walter Leonardi, Filippo Dini, Tobia De Angelis, Alessia Giuliani, Gianluca Gobbi), guidati dal regista e dalle canzoni dell’album, mettono in scena il paese di oggi, rappresentando egregiamente uno spaccato della società, completa di tutti gli aspetti umani e materiali che normalmente viviamo nel nostro mondo normale. Un mondo bello agli occhi di tutti, ma che diventa cupo e triste agli occhi di chi è precario lavorativamente e corre il rischio di perdere tutto, compromettendo quanto si è costruito nel tempo. Negli occhi di Riko/Accorsi si legge la disperazione dell’essersi perso, la necessità di ritrovarsi, la volontà di volersi ribellare, l’amore di una moglie che fa di tutto per farlo tornare alla vita vera, il capannello degli amici intorno, ognuno con le proprie normali difficoltà.
Quando si entra in una spirale di terrorizzante senso di perdita, l’unica via per salvarsi diventa il cambiamento e se non si può cambiare nel proprio paese, si prova oltreconfine, nonostante le persone ti continuino a chiedere cosa ci fai lì?
Allora si ricomincia a vivere, ripercorrendo le tappe belle della propria vita per riprendere il controllo che si era perso, cambiando nel modo in cui prima non si era immaginato, risvegliandosi convinti di fare qualcosa che prima non si avrebbe avuto il coraggio di fare, ricostruendo quello che si era perso.
E per quanto non si possa dire che la vita è come un film, almeno per un momento possiamo vivere l’idea di ritrovare la stessa speranza di Riko nel riprendere il proprio controllo, per stare bene.
Francesca Tesoro